𝗜𝗹 𝟭𝟲 𝗺𝗮𝗿𝘇𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝟭𝟵𝟳𝟴, 𝗹𝗲 𝗕𝗿𝗶𝗴𝗮𝘁𝗲 𝗿𝗼𝘀𝘀𝗲 𝘀𝗲𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗿𝗮𝘃𝗮𝗻𝗼 𝗔𝗹𝗱𝗼 𝗠𝗼𝗿𝗼. Un gruppo di almeno dieci brigatisti colse di sorpresa e annientò i cinque uomini di scorta dell’allora Presidente del consiglio nazionale della Democrazia cristiana: Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino.
Chi fosse Aldo Moro per i brigatisti era scritto nel loro comunicato che rivendicava il sequestro: «Giovedì 16 marzo – scrivono – un nucleo armato delle Br ha catturato e rinchiuso in un Carcere del Popolo Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana.
Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il “teorico” e lo “stratega” indiscusso di quel regime democristiano che da 30 anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista, di cui la Dc è stata artefice nel nostro Paese nell’attuazione di programmi controrivoluzionari, voluti dalla borghesia imperialista». Farneticazioni di esaltati che avevano il comunismo come fine e la violenza come mezzo, in quei terribili “anni di piombo”, in cui dall’inutile, dannosa e irresponsabile retorica della rivoluzione, si era passati ai fatti criminosi della P38.
Il mondo politico si divise tra chi, in special modo gran parte della Dc e il Pci, erano per la cosiddetta fermezza e quindi contrari ad ogni tipo di trattativa con i brigatisti per il rilascio di Moro. Il PSI, insieme al Partito radicale, invece, si schierò su una linea di possibile trattativa.
Purtroppo, Moro non si salvò. Dopo una prigionia di 55 giorni, le Brigate rosse lo uccisero. Il corpo fu ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4, in via Caetani, a metà strada dalle sedi di Dc e Pci. Il paese era stato scosso pericolosamente, attaccato al cuore, ma non ha ceduto al ricatto della violenza, in nome della democrazia. Una lotta che ha lasciato cicatrici profonde e non ancora rimarginate.
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