L’effetto disinibitorio della tecnologia

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30.03.2023

Fenomeni di odio sui social

Haters, shitstorm, cyberbullismo. Per non parlare di fenomeni più gravi, come il revenge porn. I fenomeni di odio sui social sono da tempo all’ordine del giorno, e sono molto più presenti rispetto alla vita reale. Ma perché?

I fenomeni di odio più frequenti e l’impatto sulle vittime

Basta un commento, un post, una foto. Insomma, un qualcosa di personale pubblicato sul web. Peraltro, non necessariamente divisivo, come nei casi di body shaming, in cui uno viene offeso, ridicolizzato, deriso solo per il suo aspetto fisico. Ed ecco che si scatena la cattiveria degli utenti. Insulti nei commenti (hate speech), che talvolta diventano virali (shitstorm). O tutte quelle forme di cyberbullismo, che sono molto più complesse del solo body shaming o hate speech. Addirittura, il revenge porn, in cui si diffonde senza consenso materiali sessualmente espliciti altrui, spesso di ex – soprattutto su social come Telegram – sta tristemente godendo di un’ascesa incontrollata. Sono fenomeni non di poco conto, che hanno un grande impatto sulla salute mentale delle vittime: non sono pochi i suicidi collegati a questi fenomeni, così come casi di estrema depressione, disturbi alimentari, rifiuto della vita sociale (hikikomori).

La disinibizione sui social e gli algoritmi

Primo punto: i social non sono la vita reale e questo è molto importante. Nella vita reale non esiste uno schermo, una distanza tra noi e le persone. Il filtro del computer (o smartphone), che ci collega anche nella nostra solitudine, dà la sicurezza a chi è insicuro nello sfogare le proprie frustrazioni: semplicemente la mancanza di contatto fisico fa diminuire il nostro senso di responsabilità per quello che diciamo, ci sentiamo, appunto, disinibiti, meno frenati nelle nostre parole. 

Secondo punto: i social chiedono questo. O meglio, gli algoritmi. Sì, perché sono proprio loro a premiare i contenuti più virali, quelli che riescono a ottenere più interazioni, quindi anche e soprattutto commenti, che sono sostanzialmente le forme d’interazione più complessa che si possa avere con un post sui social. I post e i commenti più divisivi creano polemiche, le polemiche creano interazioni, le interazioni premiano l’utente che ha creato il post. Semplice no? Per questo motivo spesso a fomentare le polemiche sono personaggi politici o comunque pubblici: sfruttandole non fanno altro che una grande operazione di marketing personale. 

Chi è più colpito

Secondo l’Osservatorio italiano sui diritti, guardando ai dati della Mappa dell’Intolleranza 2022, chi è più colpito dai messaggi d’odio (a cui va aggiunto sessismo e revenge porn) sul web sono le donne, col 43,2%. A seguire le persone con disabilità (34%), omosessuali (8,8%) migranti ed ebrei (rispettivamente 7,3% e 6,6%). Un’edizione con molte differenze rispetto al 2021 che vedeva le donne sempre al primo posto (con oltre il 43% dei messaggi d’odio ricevuti), ma seguite da islamici (19,6%) e disabili (16,4%): se nel 2022 sono sensibilmente calate le discriminazioni religiose (e razziali), sono aumentate quelle verso i disabili. Anche il Barometro dell’odio di Amnesty International conferma l’astio del popolo del web verso le donne: quando si parla di donne e parità di genere addirittura un commento su tre è sessista o di odio.

Questo è l’effetto disinibitorio della tecnologia, la mancanza di contatto che in qualche modo ci “allontana” dalle relazioni umane a tal punto da pensare di poter sfogare liberamente le proprie frustrazioni sull’altro. Frustrazioni che spesso non hanno un vero e proprio limite e che riflettono alcune delle peggiori pulsioni della società, prima fra tutte l’intolleranza. E, purtroppo, a farne le spese, ad essere discriminate, ridicolizzate, umiliate, sono sempre le stesse persone.

Riccardo Imperiosi, Direttore Giovane Avanti!

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