Quando ci si ritira dalla socialità. Il fenomeno dell’hikikomori

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10.03.2023

Cos’è

Hikikomori è un termine giapponese. Significa “stare in disparte”, ed oggi viene utilizzato per indicare la tendenza di un individuo a ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, alle volte per anni.

A esserne interessati sono spesso giovani o giovanissimi, i quali smettono di frequentare la scuola, i loro amici ed ogni luogo di socialità, limitando al minimo i rapporti con un esterno in cui non si sentono considerati. La loro vita si chiude solitamente in una stanza. Internet diventa l’unica modalità di comunicazione con il mondo fuori dalla porta di casa.  

Questa problematica non rientra all’interno della categorizzazione psichiatrica internazionale (DSM-5) e non è dunque possibile farne diagnosi. Comunque, dopo gli iniziali studi sul fenomeno in Giappone, si sta osservando come tale condizione sia via via visibile anche tra i giovani del resto del mondo.

Per quanto riguarda l’Italia, è da poco disponibile una ricerca sul fenomeno dell’hikikomori condotta dall’Istituto di fisiologia clinica del CNR, al fine di fornire una stima quantitativa dell’isolamento volontario. Lo studio è stato promosso dalla onlus Gruppo Abele in collaborazione con l’Università della Strada

La ricerca ha riguardato studenti in età compresa tra i 15 e i 19 anni, tentando di indagare le cause di cessazione della frequenza scolastica, da cui deriva poi, nella maggioranza dei casi, l’abbandono definitivo degli studi. 

Nel tentativo di provare ad interrompere questo automatismo tra cessazione della frequenza e totale abbandono degli studi, alcuni uffici scolastici regionali hanno consentito la possibilità di fruire di una certificazione della ASL locale, che attesti la condizione di “ritiro sociale”. Ciò allo scopo di derogare almeno parzialmente alle regole standard di “obbligo di frequenza”, al fine di non far perdere l’anno scolastico a chi attraversa un momento esistenziale difficile.

Metodologia di indagine

La metodologia utilizzata è quella ESPAD, che raccoglie le percezioni degli studenti tramite questionari (12.237 quelli idonei). È da tener conto che il 2021 (anno di riferimento dei dati) è l’anno successivo alla pandemia, con tutti gli annessi riguardo a possibili isolamenti più o meno forzosi. 

Al netto del lockdown, dalle risposte si è evinto che quasi un quinto del campione (18,7%) ha avuto momenti di isolamento lungo, durante la vita. Nell’8,2% dei casi, gli studenti dichiarano di essersi ritirati per un periodo che va da 1 a 6 mesi. In questa area – sottolineano i ricercatori – “si collocano sia i ritirati sociali, sia coloro che sono a rischio o a grave rischio”. 

Gli studenti “ritirati sociali” sarebbero l’1,7% (44.000). Quelli in condizioni di grave rischio il 2,6% (67.000); a rischio ridotto risulterebbe, invece, il 3,9% (100.000). Numericamente, non si notano differenze rispetto alle fasce di età (15-17 e 18-19 anni). Ciò che muta è il livello di percezione, che risulta maggiore tra gli studenti tra i 15 e i 17 anni (+ 2,7%).

Differenze di genere

I maschi risultano quelli che maggiormente hanno trascorso periodi di isolamento di 6 mesi o più (2,1%, mentre le donne sarebbero l’1,4%). Mantengono una predominanza statistica anche per quanto riguarda i periodi di isolamento tra i 3 e i 6 mesi (2,8%, mentre le ragazze sarebbero l’1,4%) e di un mese (4,1% contro il 3,7%).

Diversa risulta essere anche l’occupazione del tempo trascorso in isolamento. Le ragazze dormono molto (+20,6% rispetto ai maschi); ascoltano musica (+13,1%); consumano cibo (+11,2%); guardano la televisione (+ 10,4%) o leggono (+8,1%). I ragazzi, invece, passano molto tempo al gaming online (59,8%).

Il 6% degli studenti intervistati afferma di non aver stretto legami con alcuno dei compagni di scuola. Quelli che non escono mai dalla propria stanza sarebbero il 5,6%. L’1,4% dice di sentirsi deriso, mentre lo 0,4% racconta di aver ricevuto atti di bullismo. Il 27% afferma di essere canzonato per come si veste. 

La reazione dei genitori

Tenendo in debito conto l’eventuale enfatizzazione della sofferenza del momento, i ragazzi riferiscono di genitori che non sembrano accorgersi della situazione (19,2%); per il 26%, invece, i “genitori paiono accettare il dato di fatto senza porsi domande”. Mentre il 14% delle famiglie si preoccupa per la situazione.

La reazione degli insegnanti

Quando i ragazzi cominciano a non frequentare più la scuola per via di disagi personali, i professori che si preoccupano sarebbero il 21%. Il 27% non dà peso alle assenze, mentre il 23,1% crede che l’assenza dell’alunno sia dovuta a malattia. 

Come scritto nelle conclusioni del report, “la stima del fenomeno del ritiro sociale che emerge dallo studio è da ritenersi indicativa. Ma molto più che indiziaria, ma certamente non definitiva”. I risultati sono ancora da considerarsi relativi, ma appare evidente che il fenomeno va almeno intercettato il più precocemente possibile, anche attraverso la ricerca di collaborazione tra i vari soggetti in gioco: famiglia, scuola e servizi socioassistenziali pubblici e privati.

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