La società del consumo: esistono valori a cui non si può assegnare un prezzo

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03.05.2023

Poco più di 100 anni fa l’offerta che si poneva ai consumatori comprendeva un insieme di non più di 200 prodotti, oggi invece si può scegliere tra più di 1 milione di beni di consumo e servizi. Tutto ciò è l’effetto di una rapida evoluzione della società causata soprattutto da un forsennato sviluppo del sistema produttivo e dai fenomeni sociali connessi come le migrazioni interne, l’affollamento delle grandi città a scapito dei piccoli borghi e paesi sempre meno abitati e la progressiva contrazione della società rurale. Ciò ha portato ad un cambiamento radicale dei consumi di massa e dai rinnovati stili di vita che ricalcano sempre più il modello americano.

DAGLI ANNI ’80 UN MODELLO DI CONSUMI INCENTRATO SULLA “SOCIETA’ OPULENTE”

Negli anni ‘80 e ‘90 si è avuto un incremento del reddito pro-capite a cui si è accompagnata una progressiva decrescita della componente alimentare negli acquisti collettivi, a favore di beni diversi. Negli ultimi decenni le analisi effettuate sul comportamento dei consumatori evidenziavano modelli di acquisto sempre più indotti da bisogni e valori individuali, e il corrispondente indebolimento del nucleo familiare quale centro decisionale. Infatti, nei consumi si ripercuote in modo notevole l’estesa diffusione dell’offerta di beni e servizi non più rivolta alle famiglie, bensì alla soddisfazione di bisogni di natura individuale e soggettiva.

Una descrizione di tale innovato contesto, si ritrova nel pensiero dell’economista John Kenneth Galbraith, riguardo ai consumi delle “società opulente” nelle quali appariva una sostanziale inversione: “i bisogni erano creati dagli stessi processi attraverso i quali venivano soddisfatti”. Ormai, da anni l’espansione dei consumi e gli incrementi della produzione corrispondono alla creazione di bisogni per via di suggestione e emulazione (The affluent society).

DAI VALORI AL MODELLO DI PRODUZIONE DI MASSA

Già dalla fine degli anni 60 l’economista richiamava l’attenzione sulle dinamiche del fenomeno socio-economico teso all’appiattimento dei valori fondamentali della persona, del cittadino, per sovrastarli con le esigenze della produzione dei beni di massa da parte delle grandi aziende, mediante il diffondersi di inedite metodologie di marketing, spesso poco trasparenti. È di quei tempi il clamore causato dal diffondersi della pubblicità subliminale: una pratica in grado di agire come un efficace persuasore occulto, tale da commutare il consumatore in un soggetto inteso unicamente in funzione di inconsapevole acquirente di un’incessante molteplicità di beni e servizi offerti.

PUBBLICITA’ O PROPAGANDA?

Per ciascun acquisto, un consumatore investe ore nella raccolta di informazioni, principalmente consultando web, ormai strapieno di annunci pubblicitari diffusi dai brands più famosi e amati, si stimano 950 ore all’anno in cui si è consapevolmente o inconsciamente esposti a propaganda di marketing. Secondo la rivista The Futurist, fonte di questa cifra, la maggior parte di questo tempo è sprecato in quanto le informazioni sui prodotti sono molto speso parziali, inadeguate o ingannevoli.

C’è una diffusa confusione dei consumatori, perfino al momento della scelta conclusiva: nei grandi magazzini e nei supermercati, il consumatore può essere inconsapevole destinatario di sofisticate tecniche pubblicitarie volte ad indirizzarlo verso l’acquisto di alcuni prodotti piuttosto che altri, quotidianamente è sollecitato alla scelta di beni di una determinata fascia di prezzo in luogo di altri con migliore rapporto tra il prezzo e la qualità o la quantità.

Altro annoso problema è quello della sovrapproduzione, ossia merci prodotte di cui non esiste un reale bisogno qualitativo o quantitativo e che quindi i produttori hanno difficoltà ad allocare sul mercato, motivo per cui i consumatori, sono sempre più spronati ad acquistare beni assolutamente superflui che hanno il solo scopo di arricchire i produttori e le piattaforme commerciali della distribuzione.

ESISTO IN QUANTO SPENDO

Per rendere ciò possibile si studiano ed elaborano sistemi di comunicazione che invogliano a spendere, queste tecniche di condizionamento vanno dalle strategie sui prezzi, alle calcolate esposizioni dei prodotti all’interno dei negozi, ma anche a forme manipolative più complesse come i giochi di luci per far risaltare determinati prodotti sugli scaffali o l’utilizzo di apposite selezioni musicali all’interno degli store per far distrarre e non far rendere conto del tempo trascorso nel magazzino.

Esemplare è uno studio condotto dai ricercatori di Barckley che hanno fatto un esperimento: in alcuni negozi hanno mandato più volte in riproduzione la famosa canzone Price tag di Jessy J, in questi store nel tempo in cui risuonava tale canzone gli acquisti aumentavano quasi del 40%. Il brano in questione oltre ad avere un ritmo leggero, orecchiabile e ripetitivo, nei suoi circa tre minuti ripete moltissime volte parole e frasi come “money” “price” “happy” “we don’t need mooney” “forget the price” ecc.

Tutte queste iniziative di marketing sono analizzate e descritte in una famosa opera di Philippe G.Vaillant: “La pubblicità sul punto di vendita”. Nella società attuale non è da monitorare solo la pubblicità, infatti si assiste ad altre forme di induzione all’acquisto massivo di beni e servizi, basti pensare alle varie azioni di “obsolescenza programmata” consistenti nell’immissione sui mercati di beni durevoli con tecnologia appena inferiore a quella realmente detenuta dai produttori, affinché in breve tempo siano sostituiti dagli stessi produttori, con altri aventi caratteristiche appena migliori, generando nel consumatore la percezione di utilizzare uno strumento divenuto inadeguato o fuori moda, perciò da sostituire benché ancora funzionante.

In proposito è stato osservato, per giunta, il considerevole impatto negativo per l’ambiente, conseguente allo smaltimento di tali prodotti.

OBSOLESCENZA PROGRAMMATA: I CASI APPLE E SAMSUNG

Esemplari riguardo all’obsolescenza programmata sono state le sanzioni che nel 2018 ha inferto alle due grandi multinazionali Apple e Samsung. Questi due colossi si sono resi artefici di una “malpractice” che vincolava gli utilizzatori dei loro smartphone ad effettuare continui aggiornamenti software molti dei quali erano inidonei per i modelli immessi sul mercato poco prima, causando così gravi bug e malfunzionamenti, al punto da forzare la sostituzione dei dispositivi.

Altra riflessione riguarda le pratiche commerciali invasive come le attività dei Call Center che assillano, in modo talvolta aggressivo, gli utenti telefonici con appelli e proposte di vendita o contratti in gran parte nocivi o inutili, in spregio anche alle disposizioni del Registro pubblico delle opposizioni che il legislatore ha inteso istituire a tutela del cittadino nei confronti dell’utilizzo del proprio numero telefonico. Il legislatore italiano non è rimasto ad osservare passivamente le molteplici involuzioni manifestate nel mercato dei beni; infatti, nell’anno 2005 ha emanato un articolato complesso di norme a tutela del consumatore, ossia, il Codice del Consumo.

I DIRITTI DEI CONSUMATORI

Di fondamentale importanza è il Decreto Legislativo n.44 del 15/3/2010 che ha introdotto il divieto della pubblicità subliminale, anche se è opinione comune degli economisti, degli esperti, e delle associazioni per la difesa dei consumatori, tra cui l’ADOC, che l’attuale obsoleto consumismo dell’era industriale e della finanza speculativa, vada sostituito da un nuovo acuto consumismo dell’era dell’informazione.

Verso tale obiettivo, ancora una volta gli strumenti di cui dispongono i legislatori europei e mondiali e che sempre più vengono ipotizzati ed elaborati da esperti e studiosi, assumeranno un ruolo da protagonista.

Si auspica la sempre più massiccia introduzione di autorità indipendenti o organismi di carattere europeo che possano essere con la massima trasparenza possibile agenti dell’informazione, valutando i dati e aiutando il consumatore a fare una scelta consapevole, permettendo di esercitare in pieno il diritto di essere istruito sui punti di forza e di debolezza dei prodotti, il diritto di fidarsi delle fonti di informazione, il diritto di accedere a infrastrutture “all’avanguardia” e così via.

INTELLIGENZE ARTIFICIALI UTILI O NO?

Anche le intelligenze artificiali e la robotica rappresentano un complesso di mezzi che potranno migliorare le condizioni del miliardo di persone che oggi vivono in povertà, un numero che si prevede aumenterà ulteriormente entro la fine del decennio. Queste tecnologie potranno assistere i consumatori nella soluzione del problema del sovraccarico di scelte. Il disorientamento indotto nei consumatori da questa estensione sempre più ampia di possibilità, accuratamente comunicate attraverso i canali della pubblicità, è noto come “paralisi da opzioni”.

Questo cambio di passo è necessario per una molteplicità di aspetti, in primis quello ambientale, perché la sovrapproduzione odierna non è in armonia con la tutela ecologica, in secondo luogo va scongiurato il timore paventato da quella classe di economisti definiti in termini dispregiativi “economisti statalisti”, che affermano che la rotta tracciata potrebbe portare a una sostituzione degli apparati statali e amministrativi da parte delle multinazionali che accumulando sempre più potere economico e sociale potrebbero paralizzare i legislatori e proporsi in molti settori del welfare come emittenti di servizi migliori rispetto a quelli offerti dagli stati delegittimando di fatto il concetto stesso di stato.

Francesco Lamonea, Officina Civile

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