Vestiti vintage, tessuti naturali e riciclabili: la moda cambia abito nel rispetto dell’etica e della ecosostenibilità

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08.02.2023

Parliamo di moda.
Quante volte siamo stati vittime/complici dei clickbaiting di titoli accattivanti che hanno il compito di spingere le persone all’acquisto compulsivo, offrendo vaste gamme di prodotti a prezzi bassissimi?
Quanto tempo passa prima di rimpiazzare un capo con uno di nuova stagione?
Quanto spesso ci siamo domandati qual è il reale costo ambientale del fast fashion?
Dietro questi grandi quesiti si celano le regole del politically correct del fashion system che non sempre vengono rispettate e non sempre sono benevoli quanto dovrebbero.

Una moda da cambiare: i dati parlano chiaro!

L’industria della moda contribuisce per il 20% alla contaminazione industriale dell’acqua in tutto il mondo e produce più di 92.000 tonnellate annue di rifiuti tessili, tra cui rientrano i capi di abbigliamento invenduti. Cinque mila milioni di tonnellate di CO2 vengono rilasciate annualmente nell’atmosfera. Inoltre, l’industria della moda nella sua globalità, che comprende l’abbigliamento, le calzature gli accessori e via dicendo, è responsabile per il 10% delle emissioni globali, con l’accusa dell’ulteriore accumulo negli oceani di un terzo delle microplastiche. Gran parte delle persone non si interroga mai sul perché un articolo costi così poco, sul perché vengano prodotti in determinati luoghi e siano fatti di determinati materiali. Ma se ognuno si ponesse quesiti sull’impatto che hanno alcuni capi d’abbigliamento sulla natura e sugli esseri umani risulterebbe più semplice fare scelte più attente e lungimiranti.

Il sistema industriale dell’abbigliamento, specialmente quello low-cost, sopravvive, anzi prolifera a causa dello sfruttamento di esseri umani sottopagati e sottoposti a condizioni di lavoro disumane, la cui unica “colpa” è quella di essere nati in paesi sottosviluppati e poveri, che offrono solo materie prime a basso costo e nessuna condizione decente per la vita di un uomo. L’Africa è tra i continenti con lo sfruttamento di manodopera più alto al mondo con una paga che varia dai 0,18 ai 0,50 centesimi l’ora per manovale.
Tra questi ultimi, tantissimi sono i minori che prestano servizio per le multinazionali che, oltre a sottoporre i lavoratori a condizioni di lavoro indecenti dal punto di vista salariale e dei diritti, li espongono anche a forti rischi che mettono a repentaglio la propria salute con materiali inquinanti, polveri libere, illuminazioni inadeguate, emissioni di gas nocivi e rumori continui causati dai macchinari.

Che fine fanno i nostri resi?

È doveroso porsi ulteriori domande: dove finisce tutto il materiale restituito alle aziende che non lo hanno venduto?
Che impatto hanno i resi sulle emissioni?
Gran parte dei consumatori crede che la merce resa torni semplicemente alla sua base e venga rivenduta, ma la spiacevole realtà è che solo il 30% della merce viene rivenduta, e il restante 70%? Beh, la risposta è molto semplice e alquanto triste: viene portata direttamente nelle discariche. Qual è il motivo che spinge i brand a non rivendere o quanto meno riciclare i prodotti? La risposta è una sola, i costi!
Infatti, i costi di spedizione, ispezione e correzione sono molto più elevati del costo del prodotto stesso. Arrivati a questo punto della situazione, è lecito chiedersi: noi consumatori, possiamo fare qualcosa per arrestare la crisi climatica e allo stesso tempo contrastare le sfavorevoli condizioni operaie causate dall’industria della moda? La risposta è si. Ma questo è possibile solo nel momento in cui riconosciamo che la Terra non è qualcosa di estraneo a noi e quindi dobbiamo prendercene cura il più possibile, smettere di distruggerla e impegnarci nel rispettarla.

Verso una moda più etica e ecosostenibile

Grazie alle molte campagne di sensibilizzazione e alle continue ricerche da parte dei sostenitori dell’ecosostenibilità, sono stati riportati alla luce molti materiali e tessuti naturali, facilmente reperibili in natura come la canapa, il lino, la juta, l’agave e molti altri ancora che rappresentano la categoria dei materiali riciclabili utili per ridurre i rifiuti di tessuti sintetici inquinanti. Moltissimi progetti rispondono alle problematiche ambientali attraverso l’utilizzo di queste materie prime e contemporaneamente contribuiscono a un’occupazione più dignitosa.

A tal proposito, di recente, molte imprese hanno cominciato a promuovere il riciclaggio dei capi d’abbigliamento e a sostenere l’integrazione e l’inclusione sociale dei lavoratori. Molti gli esempi in Europa, in Italia e anche in Campania dove sono diverse le realtà di eco sartoria e artigianalità che realizzano creazioni di moda, attraverso tessuti riciclati. Progetto promossi da APS territoriali, hanno l’obiettivo di scoprire e rafforzare le attività produttive creando occupazione soprattutto femminile nelle periferie disagiate e abbandonate.

Un altro modello sviluppatosi negli ultimi anni per contrastare questa frenesia consumistica, che sta avendo un discreto successo soprattutto tra le nuove generazioni, è quello del ritorno alla moda vintage. Fenomeno amplificato anche attraverso il web e l’aumento di mercatini o negozi dedicati.

Fast fashion: è tempo di dire basta!

Se non dovesse bastarvi tutto questo, per evitare i mali del fast fashion, si potrebbe ricorrere all’acquisto di prodotti di aziende che appartengono alla cosiddetta moda etica. Quest’ultima si riferisce alla scelta compiuta da un’azienda di creare e favorire migliori condizioni di lavoro per i suoi dipendenti, ovvero: orari decenti, salari equilibrati e soprattutto rispetto ambientale attraverso l’uso di materiali e mezzi di trasporto non inquinanti. Acquistare da queste aziende significa supportare a cascata tutte le realtà che nel loro piccolo cercano di farsi spazio tra i colossi mondiali, significa supportare molti progetti umanitari e dare possibilità di sviluppo a paesi da sempre oppressi.

Ognuno di noi può dare il proprio contributo per migliorare il pianeta e utilizzare con rispetto le sue risorse. Tutti noi possiamo esprimere la nostra creatività attraverso i neo-materiali vegetali ed ecosostenibili, senza rinunciare alla bellezza. Tutti noi dovremmo sentirci più vicini alla nostra Terra e proteggerla. Allora, cominciamo a diventare consumatori attivi e responsabili.

Camilla Caiazzo, Officina Civile

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