La genesi della sicurezza sociale: dalla carità alla solidarietà

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04.04.2024

Gli albori dei sistemi di protezione sociale

I sistemi di protezione sociale si sono costituiti in forma embrionale – in alcuni paesi europei – a partire dal XVII e XVIII secolo, evolvendosi poi fortemente dalla seconda metà del Novecento. Non a caso, lo storico Tony Judt, in Postwar, scrive – a proposito dei tanti decenni di pace goduti dal Vecchio continente – che il collante che tiene insieme le tante diverse culture dei popoli europei è la sensazione di sentirsi a proprio agio nel “modello europeo di società”, caratterizzato da un welfare generoso e strutturato.

Ma il cammino della sicurezza sociale è stato lungo e tortuoso, ed ebbe un’enorme accelerazione con l’avvento della Rivoluzione industriale – con epicentro in Gran Bretagna – i cui rivolgimenti, soprattutto con a rottura della struttura sociale nelle campagne, l’inurbamento, i bassi salari, riempirono le città di poveri e reietti. I quali, in un sistema così mutato, non potevano più contare sulla solidarietà familiare come ancora di salvataggio.

Già a partire dal Seicento, proprio oltremanica, si iniziano a introdurre le prime politiche di sollievo per gli indigenti. Nel 1601, Elisabetta I, regina d’Inghilterra, promulgò l’Act for the Relief of the Poor (conosciuto come Old Poor Laws): un sistema nazionale a favore dei soggetti più deboli (anziani, bambini, disabili). I disoccupati, invece, vennero confinati nelle Workhouse: un’istituzione “totale” dove coloro che non erano in grado di supportarsi finanziariamente, trovavano alloggio ed impiego. Lo Stato si sostituiva a quello che era stato il principale soggetto per il sostentamento degli indigenti: la Chiesa.

Sempre in Gran Bretagna, nel 1795, venne introdotto lo Speenhamland System per far fronte all’aumento del costo del pane: una sorta di “reddito minimo garantito”, che veniva affidato nella sua gestione alle parrocchie.

La situazione in Italia 

L’Italia arrivò tardi all’appuntamento con l’industrializzazione, e ciò ebbe conseguenze sulla genesi del sistema di sicurezza sociale.

Intanto, c’è da sottolineare che tutti gli strumenti introdotti per aiutare i più bisognosi non avevano alla base un’idea sociopolitica di solidarietà. Ciò che spingeva istituzioni pubbliche e private ad occuparsi dei poveri era l’esigenza di tutelare l’ordine pubblico, al fine di evitare qualsiasi forma di protesta.

In Italia, furono le società di mutuo soccorso a introdurre le prime forme di previdenza. I lavoratori che vi si associavano volontariamente pagavano somme al fine di erogare prestazione in caso di bisogno (invalidità, infortunio o pensione) ai loro associati. Lo schema era quello assicurativo, ma senza intermediari di sorta. Ma il limite era che alle mutue potevano accedere, nei fatti, solo lavoratori in grado di pagare le somme dovute. La maggioranza delle maestranze, quindi, ne rimaneva fuori per problemi di reddito.

Lo Stato, che aveva favorito fin lì la mutualità volontaria, iniziò a modificare il suo atteggiamento verso i problemi della protezione sociale, soprattutto per quanto riguarda il grave problema degli infortuni sul lavoro. È infatti del 1898 la legge n. 30, che rese obbligatoria per i datori l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Molti fanno coincidere il varo di questa normativa con la nascita della previdenza sociale italiana.

Sempre nel 1898 (con legge n. 350), viene istituita la Cassa nazionale di previdenza per la vecchiaia e l’invalidità per gli operai; istituto limitato ai lavoratori con modesti salari, e al cui finanziamento furono chiamati i datori solo dal 1919. Va accentuandosi così il carattere pubblicistico della previdenza.

Il periodo corporativo

Durante il periodo corporativo – al di là dei proclami – la realizzazione delle tutele per i lavoratori continuò ad essere considerata un compito proprio delle categorie interessate, su cui interamente cadeva l’onere dei finanziamenti necessari. Lo Stato non faceva altro che limitarsi a creare normative e istituti, rimanendo a base della protezione sociale l’idea di fondo della sola tutela dell’ordine pubblico. Per quanto riguarda l’assistenza sociale, è opportuno ricordare come per essa non ci fu alcuna attenzione e investimento.

La sicurezza sociale nel Dopoguerra

Fu alla fine della Seconda guerra mondiale che iniziò a farsi strada una più evoluta idea di sicurezza sociale, perché in quel torno di tempo si pose l’accento sul tema della libertà dal bisogno, ritenuta una condizione indispensabile per l’effettivo godimenti di diritti politici e civili. Ad una uguaglianza solo formale, quindi, si affiancava quella sostanziale, per una vera parità tra tutti i cittadini.

Questa libertà dal bisogno non poteva essere garantita se non attraverso la solidarietà generale di tutti e con un sempre maggiore intervento dello Stato, che assumerà sempre più un ruolo centrale nell’organizzazione e l’erogazione dei servizi.

Per capire il salto in avanti, basta leggere l’art. 3 co. 2 della Costituzione, che affida allo Stato il nobile e fondamentale compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Una norma di civiltà, che non dovrebbe mai essere dimenticata da coloro i quali credono nel progresso sociale, anche perché Norberto Bobbio scrisse che «il fantasma dell’eguaglianza […] ha sempre rotto i sogni dei potenti».

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