“Se lo fanno gli altri, lo faccio anche io”: quando il gruppo diventa branco.

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08.11.2022

L’uomo è un animale sociale

Lo scriveva Aristotele e lo conferma la scienza: l’essere umano è un animale sociale. Il nostro cervello non è un sistema autonomo, ma è profondamente influenzato dal rapporto con l’Altro. Infatti, neuroscienza e psicologia hanno provato che il passaggio da primati a sapiens è stato possibile proprio grazie alla socialità. La necessità di comprendere, prevedere e rispondere alle azioni dei nostri simili ci ha reso più intelligenti e capaci di sopravvivere. Senza contare che far parte di un gruppo ci fa sentire più forti e al sicuro, rafforzando la nostra identità e autostima. Ma la socialità non ha sempre risvolti positivi. A volte può degenerare in dinamiche distruttive. E quando il gruppo diventa branco, le conseguenze sono imprevedibili.

L’effetto contagio e di de-responsabilizzazione

Provando a sintetizzare decenni di psicologia sociale, le possibili cause sono molte. La prima è l’effetto contagio: la tendenza del singolo ad adeguarsi alla condotta collettiva, anche quando è violenta e illegale. In questo caso il bisogno è quello di proteggere la propria identità connessa all’appartenenza al gruppo. Quindi si innesca il pensiero per cui “se lo fanno gli altri che sono miei amici, devo farlo anche io, non posso tirarmi indietro”.

Parallelamente, l’agire insieme ad altri depotenzia il peso sociale e morale delle azioni compiute. Questo è definito “effetto de-responsabilizzazione”: il singolo si nasconde dietro la scelta del branco e la responsabilità dell’atto è come diluita e spartita tra i membri del gruppo. Di conseguenza la colpa è attribuita all’esterno, con una contemporanea auto-giustificazione dell’individuo.

È bene precisare che il singolo, il più delle volte, è consapevole di infrangere le regole. Tuttavia, il meccanismo di disimpegno morale e il branco che fa da scudo, lo spingono ad assecondare la foga adrenalinica di fare qualcosa di proibito.

Il branco e i giovanissimi.

Recenti episodi di cronaca nera ci dimostrano che la violenza da branco è una problematica che tocca, in particolare, i giovanissimi. La loro ricerca di stimoli contro la noia sfocia sempre più spesso in brutali aggressioni collettive. Parliamo di ragazzi e ragazze di varia estrazione sociale, che vivono in periferia come nei centri città. L’elemento in comune è un’intesa rabbia fine a sé stessa che, mescolata ad alcool e droghe, vince ogni inibizione e porta ad azioni pericolose. Ovviamente i mesi di quarantena ed emergenza hanno aggravato seriamente il quadro. Secondo esperti psicologi questo fenomeno coinvolge in special modo soggetti non abituati alla responsabilità, senza senso del dovere e mossi da un incontenibile egoismo. Sono personalità non educate ad accogliere l’altro, poche empatiche e insensibili alla sofferenza altrui.

Quali soluzioni?

Perciò non basta individuare i fattori di stress che hanno portato le nuove generazioni a covare sentimenti tanto negativi. Serve rivedere i metodi di insegnamento ed educazione che fin dai primi anni di scuola allenano bambini e bambine al rapporto con l’altro. Il vero nodo della questione, infatti, non è solo il motivo di tanta rabbia. Ma anche la totale mancanza di modalità sane per esprimerla. Se l’obiettivo è ascoltare e risolvere il disagio dei più giovani, dobbiamo renderli capaci di comunicarcelo. Educare all’empatia è il primo passo.

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