Riflessioni su salario minimo

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13.10.2021

di Cesare Damiano

Il tema del salario minimo è stato presente nel discorso pubblico tra il 2019 e l’irrompere della pandemia nel 2020.
Se ne è tornato a parlare nelle ultime settimane. Giova ricordare che l’argomento trae origine da una proposta – per ora rimasta tale – di Direttiva dell’Unione Europea tesa ad affermare la contrattazione collettiva nei Paesi nella quale essa non è praticata o lo è scarsamente.

Non è il caso dell’Italia.

Infatti, nel nostro Paese, l’articolo 36 della Costituzione afferma che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”. L’ultimo capoverso dell’articolo 39 stabilisce che è la contrattazione collettiva il luogo della definizione dei rapporti di lavoro: “I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.

L’articolo 2099 del Codice Civile dà indicazioni precise. Tale articolo, infatti, stabilisce una serie di punti fermi.

Il primo punto dice che la retribuzione è composta da più elementi: la paga base, l’indennità di contingenza e le retribuzioni accessorie che si sommano a quella di base.

Secondo: la retribuzione proporzionata è anch’essa sancita e prescritta dall’articolo 36 della Costituzione, e “in mancanza di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice”. Accordo tra le parti che ci rimanda nuovamente all’articolo 39 della Carta citato in precedenza.

Dunque, è la contrattazione tra le parti lo strumento attraverso il quale vengono definiti i vari aspetti che caratterizzano il rapporto di lavoro. E tra questi, i cosiddetti minimi tabellari che stabiliscono – contratto per contratto, livello di qualifica per livello di qualifica – le retribuzioni minime. Ovvero, retribuzioni al di sotto delle quali non si potrebbe comunque andare e che possono essere incrementate dalla contrattazione individuale o da quella collettiva esercitata a livello nazionale, territoriale, aziendale o di gruppo.

Perciò, definire per legge un livello salariale minimo uguale per tutti, anche per chi ha un contratto di lavoro e indipendentemente dal settore di appartenenza – di fronte alla complessità del mondo della produzione – appare come un obiettivo che non tiene conto del ruolo che la contrattazione svolge in Italia. Altra cosa sarebbe recepire per legge i minimi retributivi stabiliti dai contratti leader, categoria per categoria.

 

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