Ricordare per cambiare

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18.11.2022

Capita a tutti, mentre viaggiamo in auto o passeggiamo per le vie delle nostre città di vedere dei fiori e delle targhe con foto, posti a ricordo di chi in quel punto del selciato ha smesso di vivere. Allo stesso tempo, mentre ci rechiamo al lavoro o accompagniamo un bimbo a scuola o a fare sport, ci capita troppo sovente di imbatterci in comportamenti scorretti, per non dire incivili, da parte di chi è alla guida di un mezzo di trasporto. Infrazioni come l’eccesso di velocità, il parcheggio selvaggio sui marciapiedi, sorpassi vietati, passaggi con il rosso, mancata precedenza sulle strisce pedonali, ne vediamo ogni giorno a iosa, senza contare il pericolo causato da chi si mette alla guida in stato di ebrezza o alterato dall’uso di sostanze stupefacenti.

Le conseguenze di tutti questi comportamenti che contravvengono alla legge e al buon senso, sono trascritti in nude cifre sui report che ogni anno ci propongono un vero e proprio bollettino di guerra in tempo di pace. Perché, nonostante i miglioramenti in fatto di numero totale di decessi delle vittime della strada, sono ancora migliaia le vite spezzate per via degli incidenti.

Quindi, ben venga la Giornata mondiale in memoria delle vittime della strada, istituita dall’Onu nel 2005, che ha come giusto fine quello di tenere accesi i riflettori sulla strage continua a cui non dobbiamo mai abituarci, ma verso la quale vanno prese tutte le misure possibili perché finisca.

Nel nostro paese dal 1952, anno della prima rilevazione Istat, i numeri delle vittime e dei feriti è a dir poco impressionante: oltre 300.000 persone hanno perso la vita in sinistri stradali mentre i feriti sono stati circa 15 milioni. Inoltre, bisogna tenere in considerazione che fino al 1998 venivano annotati solo i decessi entro la prima settimana dall’evento; quindi, è facilmente presumibile, visto che oggi l’arco temporale preso in considerazione è di trenta giorni, che quella cifra vada aumentata di almeno un 15%. E sempre dal 1952, anno in cui la circolazione dei mezzi era molto limitata, fino al 1972, periodo durante il quale la densità del parco mezzi risultava decisamente superiore, i numeri dei decessi non hanno fatto altro che aumentare vertiginosamente.

Tra il ’52 e il ’60 risultano 56.355 vittime, arrivando fino al record di 95.386 decessi nel decennio 1961 al 1970.

A dare una svolta positiva a questo fenomeno raccapricciante è stato l’intervento dell’Unione Europea, la quale ha assegnato a tutti gli stati membri il compito approvare misure che portassero ad una riduzione drastica delle vittime. Ed infatti, grazie all’introduzione della patente a punti, ad una coscienza maggiore del problema e all’impegno costante delle forze dell’ordine, nel 2011 si potevano contare 3.860 vittime. Tantissime ancora, ovviamente, ma nel 1972 erano ben 11.078, incidendo notevolmente anche una ridotta tecnologia automobilistica in fatto di sistemi di sicurezza.

L’obbiettivo posto dall’UE è quello di azzerare il numero delle vittime entro il 2050 nonché del 50% il numero di queste e dei feriti gravi entro il 2030.

Un dato agghiacciante dovrebbe far riflettere ancor di più: gli incidenti stradali sono la principale causa di decesso di ragazzi e ragazze di età compresa tra i 15 e i 24 anni.

La pandemia da Covid-19 ha ridotto la mortalità per riduzione della mobilità. Nel 2021 incidenti, morti e feriti – secondo dati ISTAT – aumentano rispetto al 2020, risultando però ancora inferiori rispetto al 2019.

Nello specifico, il 2021 ha visto perire sulle nostre strade 2.875 persone; i feriti sono stati 204.728.

Il tragico costo di vite si somma a un elevatissimo costo sociale, che assomma nel 2021 a 16,4 miliardi di euro, pari allo 0,9% del nostro PIL nazionale. Vittime spesso totalmente innocenti (in Europa 6.000 bambini hanno perso la vita nel periodo tra il 2011 e il 2020, di qui 467 in Italia) o particolarmente vulnerabili come pedoni, ciclisti e disabili.

Ovvio, che tutti tra cittadini e istituzioni devono fare la loro parte per impedire che tutto ciò accada ancora. È necessario lavorare sul senso di responsabilità individuale, sulla prevenzione come sull’educazione e la sensibilizzazione. Politiche necessarie, che hanno il compito di accompagnare anche una severa repressione nei confronti di chi viola le regole del codice della strada.

Rendere sicure le nostre strade a livello infrastrutturale, dare strumenti adeguati alle forze dell’ordine è anche una questione di investimenti, senza i quali le parole non si tramuterebbero mai in fatti.

Lungo le nostre strade volgiamo fiori che ci ricordino la bellezza e la vita e non vite spezzate dall’inciviltà di chi non si cura dell’altro: del nostro prossimo.

Raffaele Tedesco

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