Rapporto annuale Istat 2022: l’analisi di Cesare Damiano

3' di lettura
Mi piace!
0%
Sono perplesso
0%
È triste
0%
Mi fa arrabbiare
0%
È fantastico!!!
0%

08.07.2022

Il Rapporto Annuale 2022, presentato l’8 luglio dall’Istat, offre, nel capitolo 4, “Le diverse forme della disuguaglianza” osservazioni di grande interesse. “Elementi di elevata vulnerabilità nel nostro Paese sono legati alle disuguaglianze nel mercato del lavoro, al disagio economico di alcuni sottogruppi di famiglie, alla diversa opportunità di accesso all’istruzione o alle competenze digitali. Donne, giovani, residenti nel Mezzogiorno e stranieri sono i soggetti più fragili, insieme alle persone con disabilità e ai loro familiari” esordisce il capitolo.

Il quale, come nota Dario Di Vico su Twitter, assume, nella classificazione delle tipologie di occupazione, il criterio dell’Ilo di “lavoro standard e non standard” sulla base del tipo di impiego e dell’orario svolto. Spiega l’Organizzazione Mondiale del Lavoro che “Forme di lavoro non standard” è termine generico per accorpare diverse modalità di lavoro che si discostano dall’occupazione standard. Esse “includono il lavoro temporaneo, il lavoro a tempo parziale e a chiamata, il lavoro tramite agenzia interinale e altri rapporti di lavoro tra più parti, nonché il lavoro dissimulato e il lavoro autonomo dipendente”.

Per lavoro standard si intende quello “Dipendente a tempo indeterminato o autonomo con dipendenti, a tempo pieno“. Seguono due classificazioni ulteriori: quasi standard e non standard. Quest’ultima composta da due sottocategorie: vulnerabile, che comprende lavoro dipendente a termine o a collaborazione a tempo pieno o altro part-time e dipendente a tempo indeterminato, autonomo con o senza dipendenti in part-time involontario; doppiamente vulnerabile, che comprende impiego dipendente a termine o collaboratore in part-time involontario.

I DATI ISTAT

L’Istat valuta che “nel 2021, il 59,5 per cento degli occupati è classi­ficato come standard e il restante 40,5 per cento si suddivide tra il 18,8 per cento di lavoratori quasi standard, il 18,1 per cento di lavoratori vulnerabili (il 10,4 per cento perché dipendenti a termine o collaboratori, e il 7,7 per cento perché in part-time involontario) e il 3,6 per cento di lavoratori doppiamente vulnerabili. Nel complesso, dunque, quasi 5 milioni di occupati (il 21,7 per cento del totale) sono non-standard e, tra questi, 816mila sono doppiamente vulnerabili”.

La deriva assunta, in questi anni, dal mercato del lavoro è, dunque, fotografata in modo molto semplice nei numeri e nelle tipologie presentati dall’Istituto di Statistica.

Se un quinto abbondante dei lavoratori italiani si colloca in un intervallo tra vulnerabile e doppiamente vulnerabile il problema è vasto e ben chiaro.

La flessibilizzazione del lavoro – che si è trasformata in precarietà e bassi salari – ha corrotto il mercato. Puntare a una stabilizzazione degli impieghi, flessibilizzando invece le funzioni per incontrare le esigenze delle imprese, è quanto mai necessario. La vulnerabilità, la fragilità esistenziale di chi lavora per vivere è un danno evidente alla nostra democrazia.

Di Cesare Damiano

Articoli Correlati