Il Quarto Stato (Pellizza da Volpedo, 1898-1901)

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13.03.2024

Una massa imponente di lavoratori è in cammino, avanza con fierezza verso di noi, dall’ oscurità dello sfondo verso la piena luce.

Quest’opera monumentale, frutto di un lavoro di anni, in un primo momento avrebbe dovuto chiamarsi “Il cammino dei lavoratori” e doveva rappresentare, secondo le idee e le speranze dell’autore, la marcia inarrestabile del proletariato. “L’ avanzarsi animato di un gruppo di lavoratori, verso la sorgente luminosa, simboleggia tutta la grande famiglia dei figli del lavoro” aveva scritto il pittore nella prima presentazione della sua opera.

Convinto assertore dei diritti dei lavoratori, formatosi sugli scritti del Labriola e sull’apostolato di Filippo Turati, Pellizza progettò un’opera grandiosa per sostenere la causa socialista e “vendicare” con le armi dell’arte e dello spirito il brutale massacro avvenuto poco tempo prima a Milano, ad opera del generale Bava Beccaris, contro la folla inerme che chiedeva il pane.

Sull’onda dello sdegno causato dalla strage e dalla violenta repressione che ne era seguita, Pellizza decise di lavorare “al più grande manifesto che il proletariato italiano potesse vantare”. Per progettare e realizzare quest’opera, egli spese tutte le sue energie e risorse materiali e psicologiche fino a ridursi in condizioni di povertà estrema (doveva mantenere moglie e figli) e disagio esistenziale per la precarietà dei suoi mezzi e per lo scarso successo avuto come pittore.

Il tema lo incalzava già da alcuni anni: in “Ambasciatori della fame” e “Fiumana” l’Autore interpreta la lotta dei lavoratori come espressione naturale e deterministicamente “necessaria” di bisogni primari e fondamentali: la lotta per il pane, per la sopravvivenza, la lotta per la riduzione dell’ orario di lavoro.

Nel IV stato, invece, (pur mantenendo l’idea originaria della folla preceduta dalle “avanguardie” del movimento che la guidano) prevale l’idea della consapevolezza raggiunta dal movimento dei lavoratori, della loro crescita culturale e spirituale. Essi non sono più assimilabili semplicemente a una “forza della natura” (come il titolo “Fiumana” induce a pensare) ma esprimono una tensione che trascende la loro mera condizione sociale verso la Giustizia, l’ Uguaglianza e la Libertà.

La marcia è guidata da tre personaggi, due uomini e una donna che tiene in braccio un bambino, mentre il corteo dei lavoratori ben definiti nella gestualità e nell’espressione dei visi, occupa tutto lo spazio in orizzontale della superficie pittorica. La visuale, leggermente dall’alto, ne evidenzia l’imponenza e il procedere lento, deciso e inarrestabile, dal buio di una

condizione di miseria verso “il sol dell’avvenir”, la luce dell’affermazione dei propri diritti.

Pellizza mostrò, prima di tutto, il suo radicamento al principio della “fedeltà al Vero” secondo i canoni del Realismo ottocentesco e perciò volle effettivamente ritrarre i braccianti e i contadini di Volpedo, così che essi potessero riconoscersi anche individualmente nel dipinto. Mentre la figura gentile della donna in primo piano è quella dell’amata sposa Teresa e di uno dei suoi figli.

Quest’ultima figura risulta particolarmente “animata” e pare voglia interloquire con l’uomo che le sta a fianco introducendo una “nota” diversa rispetto alla calma quasi imperturbabile dei suoi compagni.

Il passo sciolto, la gestualità, l’espressione accorata, i piedi nudi, le conferiscono un’aura particolare di gentilezza e bellezza (notare come il morbido panneggio rimandi alla tradizione classica), così come la nobiltà della postura dei due uomini che precedono il corteo richiama, nella sua solennità, le figure di Platone e Aristotele della “Scuola d’Atene”.

Questo accostamento non è una forzatura né un richiamo puramente formale: i lavoratori non sono soltanto detentori di forza fisica ed energia muscolare ma possiedono anch’essi le facoltà dell’ intelligenza e del pensiero.

La convinzione dell’Autore è che i lavoratori rappresentino, come scrisse di suo pugno, “la parte migliore della società, gli antesignani del progresso, un ceto giovane in cui il vigore e la robustezza si sommano all’ intelligenza, all’istruzione, e all’ onesto pensiero”. Egli ritiene che “La forza vera stia nei lavoratori intelligenti e buoni i quali con la tenacia dei loro ideali obbligano gli altri uomini a seguirli o a sgombrare il passo perché non c’è potere retrogrado che possa arrestarli”.

In questa fase della sua vita, Pellizza sembra voler superare la concezione dell’Arte come diretto rispecchiamento della Realtà“ (così come avveniva

nella fase positivista del Realismo), per approdare ad una visione più complessa, matura e consapevole: la sua stessa esistenza inquieta lo spinge verso nuove esperienze e nuovi approdi.

L’ amicizia con Angelo Morbelli, in particolare, che lo avvicina al Divisionismo, lo spinge e cimentarsi con questa tecnica nuova che gli pare il mezzo più adatto per esprimere una visione artistica più moderna e più libera. Abbandonato il tradizionale impasto dei colori sulla tavolozza (che garantiva secondo la concezione tradizionale, accademica/classica la maggiore fedeltà possibile al vero naturale), opta per l’accostamento di

questi direttamente sulla tela.

Nel “IV Stato” anche se a prima vista ci sembra di vedere un dipinto quasi monocromo (data la prevalenza netta di tutta la gamma degli ocra e dei bruni) ad esame attento rileviamo l’esito della nuova tecnica divisionista: i toni “divisi” sono ricomposti dalla sintesi retinica della nostra visione, le “virgole” o i puntini di colore puro, accostate o sovrapposte, ricreano il tono esaltandone le forme e aumentandone la luminosità.

La materialità dei corpi si trasfigura: alla solidità volumetrica precedente subentra una aggregazione di particelle luminose e vibranti, secondo le nuove emergenti concezioni della materia e della luce, che evidenziano anche la potenza intangibile ma visibile dell’energia e dello spirito.

L’ uso più libero del colore porta l’Autore anche a diminuirne la saturazione verso i bordi enfatizzando le figure centrali che acquistano perciò maggiore importanza.

La luminosità forte, diurna, (come lasciano intuire le ombre corte proiettate dai tre personaggi in primo piano) contrapposta al buio del cielo sullo sfondo connota l’ evidente anti-naturalismo della composizione. Forse anche questo contribuì all’ incomprensione dell’ opera di Pellizza, alle perplessità e, direi quasi al disagio che questo quadro provocò. In realtà l’Autore approdando ad una visione più libera e spirituale del colore come era proprio delle istanze antideterministiche e antipositivistiche di fine secolo causò involontariamente la sfortuna critica della sua opera.

La sua vita breve e travagliata, conclusasi con il suicidio, il suo pensiero non proprio “ortodosso” rispetto alle tendenze ideologiche allora prevalenti nel movimento operaio, determinarono l’insuccesso della sua opera sia nel suo tempo che nei decenni successivi finché, all’avvento del Fascismo, l’opera venne nascosta, collocata “in soffitta”.

“Caduto in disgrazia” presso la Critica d’arte anche successivamente (lo stesso Argan nella sua “Storia dell’Arte moderna e contemporanea” – manuale di Storia dell’Arte fondamentale dei Licei e degli studi universitari dagli anni ‘60 agli anni ‘80 – lo ignora vistosamente). I dipinto e il suo Autore furono riabilitati da Corrado Maltese nel corso degli anni ‘80: il “IV Stato” divenne allora, finalmente, l’icona del socialismo riformista italiano, uno dei dipinti imprescindibili del passaggio tra ‘800 e ‘900 e il “monumento fondamentale del movimento operaio italiano”.

Licia Lisei, Storica dell’Arte

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