Non solo giochi. I videogame parlano alla società

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13.10.2021

Parlare di videogiochi in un contesto “serio” non è mai semplice. La natura ludica del prodotto tende a spostare l’interesse e lo sguardo verso il concetto di ozio e passatempo.

Uno strumento condannato ad essere giovane per i giovani.

Un mostro per i genitori che vedono i propri figli “sprecarci” del tempo. Un pericolo, anche, per i più piccoli. Per la loro crescita e per le insidie che si nascondono nella ormai vastissima comunità del gioco on line e dell’iperconnessione delle sessioni di gioco.

Cosa pensereste se vi dicessero che, invece, il videogioco è un mezzo di comunicazione come tanti altri, con criticità comuni e potenzialità comunicative di cui non si è ancora oggi del tutto consapevoli?

Religione, storia, politica, etica, sport, lavoro sono solo alcuni (i più popolari) contesti sui quali si basano i videogiochi. Di fatto, gli stessi contesti che ci definiscono come persone e cittadini. Ogni videogioco, anche quelli del genere fantasy,  analizza e approfondisce una dimensione umana creando uno spazio virtuale di sperimentazione che ci fa muovere in contesti che appartengono alla realtà. Eppure, non ce ne accorgiamo.

Non è un’apologia del videogame. Solo una chiave di lettura diversa verso uno strumento che ci racconta e parla di noi. Usi, consumi, abitudini, vizi, fantasie, passioni, persino la formazione professionale. Il videogioco è fatto di umanità ed è per questo che coinvolge tutti, anche i più reticenti. Siamo sedotti dalla possibilità di agire in un mondo fantastico ma tanto simile al nostro, in cui c’è sempre un mostro enorme da dover sconfiggere, ma se si muore, si può ricominciare.

Di fatto, il videogioco non è altro che una rimediazione del gioco infantile, resa sempre più complessa e simile alla realtà, dalle nuove tecnologie, dalla realtà aumentata, dall’intelligenza artificiale e dalla simulazione. Sempre più fedele al mondo circostante, sempre più coinvolgente nella sceneggiatura tanto da poterli vivere come film interattivi in cui i protagonisti siamo noi. Sempre più social, nella dimensione multiplayer on line.

Del resto, quello del videogioco è un settore dell’industria culturale che muove milioni di dollari e impiega professionalità tra le più creative e ambite tra i più giovani.

In Italia il mercato del videogame, nel 2020, ha prodotto 2,1 miliardi di euro. Il report di Iidea “Videogiochi in Italia nel 2020” parla di una crescita del 21,9% rispetto al 2019. L’attenzione delle più grandi software house verso i prodotti di gaming è altissima e tante sono le offerte formative e gli investimenti in idee e progetti innovativi in tutto il mondo.

Il videogioco è uscito dalla concezione di semplice intrattenimento e sta esplorando zone fin’ora ritenute off limits dal grande pubblico: quello della cultura, della società, della formazione, della politica.

Questa trasformazione, o meglio consapevolezza del mezzo e dello strumento, crea ampi spazi per start-up e lo sviluppo di percorsi professionali che danno spazio non solo agli sviluppatori informatici ma anche ai creativi. Umanisti del gaming, insomma, che partecipano attivamente alla realizzazione di giochi di ogni genere.

I videogiochi e le loro applicazioni sono una realtà che non può più essere considerata solo svago. Sono sempre più un prodotto “tecnoculturale” in cui la relazione con la società è sempre più evidente. Ed è per questo che anche un videogioco può diventare un motore di cambiamento.

 

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