Meno ore di lavoro, stesso trattamento economico. Iniziamo a parlarne seriamente
14.10.2021
È arrivato il momento di discutere seriamente di ridurre l’orario di lavoro a parità di trattamento economico, dando una diversa concezione ai tempi di vita e di lavoro: sono cambiate le fabbriche, le macchine, non le leggi, né tute, cravatte o colletti.
Affrontare il tema del tempo di lavoro non è un’utopia ma una necessità sociale e, soprattutto, economica. Qualità e quantità del lavoro hanno subìto delle trasformazioni indifferenti al nostro volere e non si può tenere conto di quello che è un dato di fatto: è cambiato il modo di produrre.
Non è il solito refrain del mondo che sta cambiando e non si tratta di orizzonti da inseguire: la realtà del mondo – e del mondo del lavoro – è cambiata in modo totalizzante e trasversale già da molti anni.
Insieme, però, inconsapevoli, ci siamo stretti in una sorta di resistenza collettiva per scongiurare il panico di doversi confrontare con modelli e sistemi nuovi, perdendo certezze. L’insicurezza genera ansia, di contro, però, la frizione tra il nuovo e il tradizionale non è da meno.
Che tutto sia diverso lo percepiamo ogni istante, di metodi differenti di organizzazione del lavoro si parla da tanto. Ci sentiamo un po’ tutti al crocevia di vecchie e nuove professioni. Dibattiamo, anche con entusiasmo futurista, di produzioni più snelle, di digitalizzazione, open source, riorganizzazioni aziendali, informatizzazione, smart work, salvo poi scontrarci con un insieme di Istituzioni e regolamenti che se da un lato rassicurano, dall’altro disorientano un cammino evolutivo inevitabile.
È importante che una realtà rappresentativa come il sindacato si ponga come attore protagonista di un cambiamento che già esiste. Non arriviamo primi, questa volta: la realtà ci ha anticipato e bisogna fare i conti con la necessità di poter essere in luoghi e spazi differenti, di coltivare tutti i microcosmi di cui ci siamo arricchiti, distanti anni luce dall’unità di luogo e azione a cui il taylor-fordismo del ‘900 ci ha assuefatti.
È cambiato il lavoro, si è trasformata la famiglia, si sono moltiplicate le relazioni, si sono amplificati i desideri di vita sociale. L’esigenza di maggiore flessibilità nel lavoro, però non ha generato risultati efficaci: è mancato e manca tutt’ora un ragionamento vero su questi temi.
In altri paesi europei e del mondo si sono avviate sperimentazioni: dall’Islanda al Giappone, passando per la Spagna e la Nuova Zelanda la riduzione dell’orario di lavoro a parità di trattamento economico è stata applicata a diverse popolazioni, con risultati soddisfacenti dal punto di vista della produttività, della creatività e del benessere lavorativo.
Aumentare la produttività e liberare tempo sembra un ossimoro ma è solo un paradigma diverso a cui adattare le nostre vite, senza troppi timori.
Sembra fantascienza ma potrebbe essere realtà e le esperienze degli altri paesi suggeriscono che l’adozione di modelli diversi di lavoro può giovare a un’intera nazione: l’ultimo esempio viene dall’Islanda, in cui dal 2019 i sindacati hanno ottenuto una riduzione delle ore lavorative a parità di trattamento salariale per migliaia di persone. Il rendimento non è calato, il benessere lavorativo è aumentato.
Si può fare e c’è bisogno vero di portare avanti la discussione sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di trattamento economico, anche in Italia, favorendo, anche, nuove assunzioni e allargando le maglie della giustizia sociale.
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Redazione TERZO MILLENNIO
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di Pierpaolo Bombardieri

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