L’amicizia tra Dante Alighieri e Guido Cavalcanti

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25.03.2023

Articolo pubblicato in occasione del Dantedì 2023

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

 

Dante Alighieri

Guido Cavalcanti fu, per Dante, “il primo amico”, “il primo dei miei amici” come lui stesso scrive. A Guido, Dante dedicò la sua prima opera importante “La Vita Nova”. L’ amicizia tra il più grande poeta italiano del ‘200 e quello che diventerà il più grande poeta in assoluto, si nutre di solidarietà intellettuale e dichiarata stima reciproca, sicuramente anche di affetto come emerge dalla corrispondenza poetica tra i due, a cominciare dal primo sonetto “A ciascun’alma presa e gentil core” che Dante, un giorno, osò inviare a Guido con la speranza che fosse ben accolto.

Un po’ più anziano di Dante (5 anni), Guido era un giovane bello e ricco, già famoso a Firenze come poeta seguace del bolognese Guido Guinizelli, molto ammirato e stimato, amico di Brunetto Latini, il grande intellettuale cosmopolita che Dante considererà suo maestro. Dante, invece, appartiene ad una famiglia di inferiore nobiltà e mediocre agiatezza: ammira Guido e vorrebbe avvicinarsi a lui. Un giorno, dunque, facendosi coraggio, ha l’ardire di mandargli (lui giovanissimo poeta alle prime armi) un sonetto. Guido gli risponde, da pari a pari e Dante non dimenticherà mai la sua cortesia. I due si conoscono e ne nasce una forte amicizia. Dante resterà fortemente influenzato dalla poesia di Cavalcanti i cui versi si recitavano per le vie di Firenze, in bocca ai giovani di cui alimentavano l’ardire amoroso e alle donne di cui nutrivano i sospiri. Da qui a qualche anno, però emergeranno alcune differenze, non tanto di “poetica” quanto di “filosofia”: Guido è averroista (gli averroisti sono coloro che “l’anima col corpo morta fanno”, mentre Dante è Cristiano di fede francescana, e, soprattutto, è profondamente diversa la loro concezione dell’amore. Entrambi i poeti si dichiarano “fedeli d’amore”, ma mentre l’ amore è per Guido una passione travolgente, sottratta al controllo della ragione, di cui Guido dice “di sua potenza segue spesso morte” (morte metaforica, intellettuale e morale), per  Dante che comunque definisce Amore suo signore,  “Amore è “di sì nobilissima virtù che nulla volta sofferse che (…) mi reggesse sanza lo fedele consiglio de la ragione”..

La prima giovinezza del nostro poeta è illuminata da due figure: la fanciulla Beatrice la cui sola visione “dà per li occhi una dolcezza al core / che ‘ntender no la può chi no la prova”: Beatrice che colma di beatitudine la sua solitudine di fanciullo “cui non risere parentes” (a cui i genitori non hanno sorriso, per dirla con Virgilio), e Guido il suo modello poetico che lo conduce verso la grande novità dei poeti bolognesi dello Stil Novo. Verso la fine del ‘200, Dante comincia a farsi anche delle idee politiche che, col tempo approfondirà: la soluzione per i mali di cui fa esperienza intorno a sé, vicino e lontano nello spazio e nel tempo, è che l ‘Impero di cui è sostenitore, regoli la terra e che la Chiesa coltivi le anime, ognuno con i propri compiti e senza interferenze. Per la sua Firenze, dilaniata dalle fazioni politiche, vorrebbe ordinamenti ispirati dalle leggi del vivere civile e non dalla forza bruta dei magnati pronti a metter mano alle spade per far trionfare il “diritto” del più forte. Per questo aderisce agli ordinamenti di Giano della Bella che volevano impedire gli abusi di potere e le prevaricazioni della nobiltà feudale.

Tra le fine del 1200 e gli inizi del 1300, Dante si lancia nell’ agone politico divenendo subito noto per l’incisività della sua oratoria, ispirata certamente dai classici, ma (tranne che per i documenti scritti) espressa pubblicamente nel volgare fiorentino, la lingua del popolo, che gli consentiva di esprimere meglio il fuoco della passione civile.

Dalla bocca del popolo ascoltava e serbava nella memoria le storie di guelfi e ghibellini, di bianche e di neri; le gesta degli uomini famosi, dei vari Farinata, Ugolino, Manfredi, Francesca, Pia de’ Tolomei…lasciandosi conquistare dalla freschezza, incisività e verità della lingua del popolo con la quale si riusciva ad esprimere tutto e meglio del latino. Così incomincia la sua azione “maieutica” della lingua: Dante scopre che il volgare è potente, plastico come la pittura di Giotto, icastico e tragico come i crocefissi di Cimabue, ma che poteva anche diventare dolce ed elegante come il latino dei classici. Queste idee luminose della prima giovinezza, “fissate” seguendo le orme poetiche di Guido e illuminate dall’ amore per Beatrice, non lo abbandoneranno più. Nel 1300 Dante riveste la carica, importantissima, di Priore e in questa veste fu tra coloro che decretarono la messa al bando di alcuni tra i più facinorosi nobili fiorentini che si erano fatti notare per episodi di violenza privata tra le fazioni, e tra questi, Guido Cavalcanti. Dante, con la morte nel cuore, volle mostrarsi imparziale nell’applicare la legge: di lì a poco, nell’agosto del 1300, Guido morì, in esilio, a causa della malaria.

Il 1300 è l’anno in cui il nostro poeta assume la massima carica politica nel comune di Firenze ed è l’anno della morte di Guido; è anche l’anno in cui inizieranno i suoi “guai” politici che culmineranno con la cacciata da Firenze (se fosse rientrato sarebbe stata prevista la pena di morte), il sequestro dei suoi beni e delle sue ricchezze. La libertà politica di Firenze era già stata minacciata da Bonifacio VIII che ne voleva la sottomissione a i suoi voleri con l’appoggio dei “Neri” e di quel Corso Donati che era stato la causa dell’esilio di Guido e che ora approfitterà dell’ambasciata di Dante e altri due fiorentini presso il pontefice per impadronirsi del potere nella città con l’aiuto delle armate francesi. Corso Donati si mostra il più valido sostenitore di papa Bonifacio e proprio per evitare che il poeta torni a Firenze e riesca ad organizzare la resistenza a Bonifacio, ottiene la condanna del poeta mentre l’ambasceria è ancora in corso. Dante, così, non potrà più tornare a Firenze, verrà ridotto in miseria e sarà costretto ad andare esule per la penisola “mendicando il suo pane frusto a frusto”, un pane dal sapore sempre più salato.

Il 1300 è anche l’anno in cui è collocato il suo viaggio nell’ oltre-mondo: la figura di Guido aleggia nel poema: quando Dante incontra Cavalcante de’ Cavalcanti, padre di Guido e questi gli chiede “Se per questo cieco carcere vai per altezza d’ingegno, mio figlio, ov’è?  perché non è ei teco? ” rende un altissimo omaggio al suo amico di gioventù. L’altro momento, nel quale la figura di Guido balza nella nostra mente è nelle parole di Francesca da Rimini: nella rivendicazione della sua passione amorosa di quell’ “amor che a nullo amato amar perdona” che per Dante corrisponde alla visione amorosa di Guido. E forse, anche per questo, Dante, alle parole di Francesca è travolto da una commozione così forte da perdere i sensi e “cadde come corpo morto cade”.

Licia Lisei, Professoressa di Storia dell’Arte

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