La buona comunicazione dell’emergenza quotidiana
09.03.2023
Il Censis e l’Osservatorio permanente Ital Communications hanno redatto il Secondo Rapporto annuale sulla buona comunicazione dell’emergenza quotidiana. Un lavoro che vuole analizzare “le fenomenologie che scaturiscono dal mondo della comunicazione e dell’informazione” e individuare le piste su cui occorre lavorare per generare comunicazione affidabile e di qualità.
Quella di una buona e corretta informazione è sempre un’esigenza fondamentale, ma lo è ancor di più in tempi di crisi (pandemia e guerra), al fine di poter esercitare quel pensiero libero e critico connesso indissolubilmente ai diritti di cittadinanza democratica.
Come sottolineato dal rapporto, le emergenze quotidiane con cui conviviamo hanno generato una forte domanda di informazione e il 97,3% degli italiani ha cercato, nell’ultimo anno, notizie da una molteplicità di fonti, sia off che online. Ciò, ovviamente, crea non poche problematiche relative all’evidente effetto distorsivo che alcune dinamiche caratteristiche della comunicazione digitale sono in grado di produrre sui cd. processi di opinion building.
“Questo processo di creazione e circolazione dell’informazione dal basso – affermano gli autori della ricerca – ha effetti che si traducono, soprattutto nel web e sui social media, in una democratizzazione dei contenuti, ma anche nella costruzione di realtà parallele a quelle ufficiali, capaci di incidere su opinioni e comportamenti di milioni di persone”.
Non è un caso che sull’annoso problema delle fake news, per la prima volta nella storia delle democrazie contemporanee, si sono visti attori politici proporre interventi dei poteri pubblici, al fine di contrastare gli illeciti commessi sulle piattaforme di comunicazione. La Germania è stato il primo paese europeo a intervenire in questo ambito con legge apposita, entrata in vigore nel 2017.
Comunque, per Censis e Ital Communications non sarebbe utile un’azione basata unicamente sui divieti, soprattutto per quanto riguarda i ragazzi. Se regole più severe per piattaforme e social sono ritenute utili, fondamentale rimane puntare sempre su un’informazione di qualità, gestita da professionisti e affidabile.
Il rapporto ci fornisce molti dati, da cui trarre delle considerazioni che possono anche andare oltre la percezione della pericolosità delle fake news.
Se si prende in considerazione l’emergenza sanitaria, per esempio, si può ben vedere che la disinformazione su virus e vaccini non ha distolto gli italiani dall’affidarsi all’informazione istituzionale. Il numero dei vaccinati ne è una prova tangibile.
Sulla guerra tra Russia e Ucraina, altra emergenza del momento, pare prevalere una bulimia informativa accompagnata da non poche notizie false. Ciò ha determinato che il 57,7% degli italiani lamenta di avere un’idea molto o abbastanza confusa di quello che sta succedendo e delle ripercussioni che ci potrebbero essere nei mesi a venire.
Un dato interessante è che comunque 41 milioni di italiani hanno cercato notizie sui media tradizionali (televisioni, radio, quotidiani), con percentuale maggiore (93%) per gli over 65 anni, mentre la quota dei 15-34enni è stata pari al 70,7%.
Web e fake news
Il web, comunque, diventa sempre più una fonte di approvvigionamento di notizie: 39 milioni di italiani hanno cercato in rete informazioni sulla pandemia. Ma sulle questioni legate al covid-19 essi hanno mostrato maggiore fiducia per l’informazione strutturata.
La percentuale delle persone che dichiara di essersi imbattuta in fake news riguardanti la pandemia negli ultimi due anni è molto alta: l’83,4%. Il 66,1% dichiara, invece, di aver avuto lo stesso problema rispetto alla guerra tra Russia e Ucraina.
Se, come viene sottolineato anche da un’indagine di NewsGuard e Comscore, i fini della disinformazione intenzionale sono sempre di natura economica, la ricerca fa notare come i like e le condivisioni di notizie alternative rispetto a quelle ufficiali trovano terreno fertile nella mancanza di fiducia nelle istituzioni. Inoltre, il 56,5% degli italiani (il 73% tra chi ha un titolo di studio medio basso) vive nella convinzione che “esiste una casta mondiale di superpotenti che controlla tutto”.
Troppa voglia di fare audience
Se media come la radio (70,3%), televisione (68%) e quotidiani (62,8%) hanno significative percentuali di credibilità, un ruolo importante lo svolgono anche i cd. influencer. I quali, rispetto alle questioni legate alla guerra, sono seguiti dal 38,1% degli italiani, con percentuali più elevate tra i giovanissimi.
Una percentuale alta (64,2%) boccia “la spettacolarizzazione e la voglia di fare audience” da parte dell’informazione in tempi di covid, perché a loro modo di vedere la dimensione della comunicazione ha avuto la meglio su quella della informazione. Un giudizio che coinvolge anche la comunicazione ufficiale.
I rischi della quotidianità digitale
Il 51% della popolazione esprime preoccupazione per i rischi della quotidianità digitale rispetto al benessere dei minori. Alta è anche la percentuale di chi dichiara di essere preoccupato di rimanere vittima di reati digitali (46%). Mentre il 45% riscontra difficoltà di accesso alle nuove tecnologie, con un significativo 31% della popolazione che teme di “non riuscire a bilanciare la vita digitale con la vita reale”.
Il rapporto elabora molti altri dati e mette in luce criticità e positività. Una cosa, però, appare piuttosto chiara, visti anche i riverberi delle fake news sulle elezioni negli Stati Uniti del 2016 e durante la Brexit: la cattiva informazione viene creata da contesti organizzati e ben finanziati. La sfida è riuscire a costruire un sistema virtuoso parimenti organizzato, con l’ovvia consapevolezza della velocità dei cambiamenti tecnologici. Ne va della nostra democrazia.
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