Il quarto potere come garanzia di libertà

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19.12.2022

La storia del giornalismo è anche una storia di libertà. Anzi, forse sarebbe meglio dire di lotta per la libertà. A buon diritto, la stampa, insieme alla laicizzazione della cultura, allo sviluppo del capitalismo, all’alfabetizzazione di massa e alla formazione dello Stato moderno può essere annoverata tra i fattori costitutivi della modernità. E per modernità, ovviamente, intendiamo la società aperta e pluralista, fondata sui principi e i valori della liberaldemocrazia.

La libertà di stampa, quindi, è una delle caratteristiche essenziali di ogni stato di diritto e presuppone che ogni cittadino abbia la possibilità di esprimere liberamente in qualsiasi modo, scritto o orale, le proprie opinioni. La nostra democrazia, come ben sappiamo, si basa sull’esistenza di poteri e contropoteri che tra loro debbono trovare un bilanciamento in chiave istituzionale. Uno dei contropoteri più forti è rappresentato dalla stampa libera; che, visti i progressi tecnologici, non può oggi riferirsi solo a quella dei giornali cartacei. La nostra Costituzione recita, non a caso, all’art. 21 (primo e secondo comma): “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censura”.

La stampa è giustamente considerata il “quarto potere”, definizione coniata da Edmund Burke nel 1787, e svolge una funzione fondamentale, perché ci dà la possibilità di conoscere i fatti su cui si possono fondare le opinioni, per poi conseguentemente avere gli strumenti per agire e scegliere in maniera consapevole. E a temerla, ovviamente, sono principalmente quelle società dove non c’è libertà, che mirano a mantenere in maniera violenta un ordine sociale, politico e morale in cui l’individuo non può esercitare i suoi diritti, schiacciato dall’onnipotenza e dalla crudeltà di un sistema dispotico. E a tal proposito, i dati forniti dalla organizzazione non governativa Reporters sans frontieres (Rfs) sono agghiaccianti.

Secondo l’Ong, infatti, sarebbero ben 533 i giornalisti imprigionati nelle carceri di tutto il mondo, per il semplice fatto di svolgere la loro professione (con un aumento del 13,4 per cento degli arresti rispetto al 2021). Sono 57 i reporter uccisi nel 2022, con un aumento del 18 per cento sull’anno precedente, in considerazione anche della guerra tra Russia e Ucraina, che ha visto perire già ben 8 giornalisti.

Più della metà dei giornalisti reclusi – aggiunge il rapporto – si trova, non a caso evidentemente, in Cina (110), seguita dal Myanmar (62), l’Iran (47), il Vietnam (39) e la Bielorussia (31). Di tutti i giornalisti in prigione, poco più di un terzo di essi è stato condannato, mentre gli altri (63,6%) sono in carcere senza neanche essere stati giudicati.

Per dare ancor di più la misura di quanto sia difficile e pericoloso essere un giornalista libero in paesi non democratici, basta vedere cosa è successo in Russia dal 1999: ovvero, dall’ascesa al potere di Putin. In questo torno di tempo, i giornalisti uccisi sono stati ben 31, tra cui Anna Politkovskaja. Molti di questi omicidi non ha ancora un colpevole. Inoltre, da quando è stato fondato Novaja Gazeta (1993), il giornale più indipendente del paese, ben sei dei suoi giornalisti sono stati assassinati. Una situazione che Dmitrij Andreevič Muratov, direttore di Novaja Gazeta e vincitore del Premio Nobel per la pace nel 2021, ha definito insostenibile e tossica. Putin, inoltre, dopo l’aggressione all’Ucraina, ha ancor di più reso difficile la vita alla stampa libera con nuove leggi. Le ulteriori restrizioni hanno già portato alla chiusura di alcune testate e all’impossibilità di usare la parola “invasione” per definire la guerra in corso.

Ma i giornalisti non muoiono solo per mano dei despoti, perché sono anche le organizzazioni criminali ad eliminarli fisicamente per via delle loro inchieste sulla criminalità organizzata e la corruzione.

Sempre il rapporto di Reporters sans frontieres denuncia ben 57 giornalisti uccisi in tutto il 2022, la maggior parte dei quali ha perso la vita in Sud America. Solo in Messico ne sono morti ben 16 (7 ad Haiti), con l’aggravante che i colpevoli raramente vengono individuati e quindi puniti.

Non solo. Sempre in Messico, secondo la Ong Article 19, c’è un attacco contro giornalisti o mezzi di comunicazione ogni 14 ore. Ma il principale aggressore della stampa risulta essere proprio lo Stato messicano, con 128 attacchi – il 38% circa del totale – solo nell’ultimo semestre.

Nella sede nazionale della UIL c’è una sala dedicata ad un giornalista: Walter Tobagi, barbaramente ucciso da un gruppo terroristico di estrema sinistra il 28 maggio 1980, perché indagava il fenomeno del brigatismo rosso, svelandone il retroterra culturale e denunciandone le connivenze, e opponendovisi con tutte le sue forze. Lo fece perché credeva nella libertà e nella democrazia, di cui la stampa libera rimarrà sempre un baluardo.

Raffaele Tedesco

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