Giornata mondiale delle elezioni, la situazione in Italia e nel mondo: perché non si va a votare nonostante il suffragio universale?

7' di lettura
Mi piace!
0%
Sono perplesso
0%
È triste
0%
Mi fa arrabbiare
0%
È fantastico!!!
0%

01.02.2024

Il 2024 sarà un anno cruciale per quanto riguarda le leadership a livello globale: più della metà della popolazione mondiale – un totale di 4 miliardi (il 51%) sparso in 76 Paesi – andrà alle urne nei prossimi mesi, anche se ovviamente non tutti in modo libero. Nonostante il numero di democrazie, siano esse piene o parziali, sia in costante aumento, così come gli elettori in tutto il mondo, si assiste ad un aumento vertiginoso dell’astensionismo. Perché dopo anni e anni di lotta per acquisire un diritto si sceglie di non esercitarlo? Le cause sono di responsabilità politica, sociale, dell’informazione o un mix di tutto questo?

Le elezioni nel 2024

Come citato poc’anzi, sono miliardi gli elettori che si recheranno alle urne quest’anno. In primis i 400 milioni di cittadini europei dei ventisette Paesi membri dell’UE. Piccolo dato positivo: secondo un’indagine di Eurobarometro l’interesse degli europei per queste elezioni sarà più alto dell’ultima tornata elettorale, col 6% di elettori in più che si dichiara interessato e il 9% in più che si dichiara pronto a votare.

Oltre all’UE, andranno al voto anche otto dei dieci Paesi più popolosi (ed economicamente influenti) al mondo: Bangladesh, India, Brasile, Indonesia, Messico, Pakistan, Russia e Stati Uniti.

Elezioni libere?

Secondo le valutazioni dell’Economist Intelligence Unit, solo in 43 Paesi su 76 ci saranno elezioni veramente libere ed eque, mentre in altri 28 le condizioni essenziali per elezioni democratiche risultano assenti. A quest’ultimi vanno aggiunti anche quelli – magari conteggiati precedentemente – in cui la competizione elettorale è solo “formale”, visto che persiste l’assenza di prerequisiti democratici come la libertà di parola o associazione: tra questi si contano i regimi ibridi, che combinano elementi democratici e autoritari, come Russia, Messico e Pakistan.

L’astensionismo in Italia e il confronto negli anni

Alle ultime elezioni politiche del 2022 l’affluenza era stata del 63,91%, in calo di quasi dieci punti percentuali (9,03%) rispetto alla consultazione elettorale del 2018. Per capire il peso specifico di questi dieci punti percentuali, basta vedere i dati – in progressivo aumento – sull’astensionismo: un calo così grande si era registrato dal 2008 al 2018, quando in dieci anni gli elettori calarono del 7%.

Proprio il trend storico è interessante, soprattutto perchè essendo in continuo aumento (dell’astensione) risulta slegato dai partiti al governo: dal 1950 alla fine degli anni ‘70 l’astensione è rimasta allo stesso livello, tra il 7% e il 9%, nonostante un aumento delle schede bianche (164 mila nel 1948, 430 mila nel 1953, 596 mila nel 1976, 836 mila nel 1979); dagli anni ‘80 inizia il calo progressivo – e sinora inesorabile – degli italiani e delle italiane alle urne, dal 12% del 1983 – rimasto costante fino alla fine della prima Repubblica – al 17% del 1996 e al 19% del 2001; dal 2008 in poi non si scende più sotto al 20%, ma anzi si sale vertiginosamente come descritto poc’anzi.

Guardando ancora alle schede bianche, ci si accorge di come queste siano cresciute esponenzialmente dal 1992 fino al 2001, forse l’effetto più evidente della fine della Prima Repubblica, con ancora un senso di collettività e di democrazia (intesi come valori politici) nella popolazione italiana: sono infatti rimaste costanti tra le 750 mila e il milione scarso fino al 1992, per poi passare al milione e mezzo scarso nel 1994 fino ai 1,7 milioni del 2001. Da lì in poi un calo vertiginoso, segno evidente che i primi anni della Seconda Repubblica avevano scollato ancor di più gli italiani dalla politica, italiani che trasformarono le schede bianche in astensione: nel 2006 le schede bianche furono solo 440 mila, nel 2018 – nel mezzo sono rimaste costanti – 390mila.

L’astensionismo in Europa

Parlavamo dell’astensionismo in Italia: come va nel resto d’Europa? Secondo i dati del Parlamento Europeo, Alle ultime elezioni europee l’affluenza media è stata del 50,66%, il dato più alto almeno dal 2004 e soprattutto il primo ad invertire la tendenza negativa: nel 2014 solo il 42,61% degli aventi diritto è andato a votare. Guardando ai singoli Paesi, la situazione è veramente molto variegata: si passa dai dati sopra l’80% di Belgio (88,47%) e Lussemburgo (84,24%) alle affluenze bassissime in Repubblica Ceca (28,72%), Slovenia (28,89%), Slovacchia (22,74%) e Croazia (29,85%).

L’Italia si posizione sopra la media UE (54,5%), ma comunque sotto a Paesi come Germania (61,38%), Spagna (60,73%), Danimarca (66,08%) ed Austria (59,8%). Persino la Grecia – che ha un’affluenza storicamente molto bassa – col 58,69% ha superato il Belpaese.

Tralasciando il caso delle elezioni europee, molto più particolari di quelle nazionali o locali, come sta andando nei Paesi europei? Non molto bene. Ad esempio in Francia, nonostante livelli di astensionismo bassissimi per le presidenziali (sotto al 30%), alle legislative del giugno 2022 votò solo il 47,5% degli aventi diritto al primo turno, mentre alle regionali dell’anno precedente l’affluenza fu del 66,7%. Stesso discorso per la Gran Bretagna: nonostante affluenze altissime per il referendum sulla Brexit del 2016, alle politiche del 2019 gli elettori alle urne furono solo il 67,3%.

Le eccezioni? Germania e Spagna: nel 2019 per il rinnovo del Bundestag andò a votare il 76,8% degli aventi diritto, dato simile alle legislative spagnole dell’aprile dello stesso anno (75,8%, anche se fu un picco abbastanza isolato).

E nel mondo?

Gli Stati Uniti non godono assolutamente di buona salute – d’altra parte come potrebbe essere altrimenti vista la deriva che sta prendendo la politica a stelle e strisce, Repubblicani in primis – con un’affluenza alle presidenziali del 2020 (quelle dove trionfò Biden) del 66,7%, comunque in aumento da quelle del 2016 (55,7%).

In Giappone l’affluenza registrata alle elezioni per il rinnovo del Parlamento nel 2021 – il 55,9% – è in crescita rispetto a quelle del 2017, in cui si presentò solo il 53,7% dei giapponesi aventi diritto.

Anche in Canada non va meglio, con le elezioni federali del 2021 che videro registrare un’affluenza del 62,1%.

Quali sono le cause?

Le cause – almeno nel caso italiano – in parte le abbiamo descritte poco fa: regna sovrano lo scollamento totale tra cittadini e politica: una classe dirigenziale sempre più lobbistica, inerte di fronte al susseguirsi di problematiche con importanti ricadute reali sulla popolazione e talvolta persino consapevolmente bugiarda (basta guardare come si cavalcano le fake news e le teorie complottiste); d’altro canto la popolazione è sempre più delusa, disillusa, arrabbiata, persino preoccupata per un futuro estremamente instabile senza una classe politica che possa governarlo. Ma non solo, perché lo scollamento non si vede solo tra politica e popolazione, ma anche all’interno della società civile: i corpi intermedi, il mondo dell’associazionismo e del terzo settore, dopo essere stati depotenziati, hanno praticamente abdicato al loro ruolo di “collettivizzatore” del dibattito pubblico. Così ci siamo ritrovati di colpo (ma non troppo, abbiamo avuto tempo di capire cosa ci stava succedendo) dentro una società estremamente individualistica. Un modello che mette in crisi la partecipazione e di conseguenza l’essenza stessa della democrazia. Un modello che rischia di farci sprofondare nell’illusione della democrazia dei popoli, senza riuscire a vedere l’autoritarismo del capitalismo globalizzato che regna sul mondo odierno.

Conclusioni

In Italia e non solo si nota chiaramente l’aumentare progressivo della distanza tra cittadini e politica, che si manifesta con livelli d’astensionismo sempre più alti. A questo si aggiungono – soprattutto a causa della diffusione a macchia d’olio dei canali di informazione e di disinformazione (basta ricordarsi la pandemia, i vaccini oppure quello che sta accadendo oggi in Ucraina) – milioni di fake news e teorie del complotto che non solo allontanano la politica dai cittadini, ma quest’ultimi dalla democrazia. Infine, l’assenza o la debolezza delle infrastrutture sociali intermedie hanno trasformato la nostra società in una mera somma d’individui, per cui ognuno non potrà che sentirsi totalmente inutile al concorrere della causa pubblica.

Riccardo Imperiosi, Direttore Giovane Avanti!

 

Articoli Correlati