BRICS, l’alleanza delle potenze mondiali
29.10.2023
BRICS è la sigla dell’alleanza tra Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, le cosiddette potenze emergenti che con tale unione reclamano maggiore peso politico ed economico in un mondo ormai demograficamente ed economicamente sempre più globalizzato e con nuovi equilibri da definire. Tra gli studiosi e gli addetti ai lavori c’è chi considera tale alleanza una minaccia per la pace mondiale e per la Nato, e chi invece vede queste economie emergenti come occasioni per migliorare la governance globale.
Come nasce la BRIC?
Per quanto possa sembrare strano, l’idea dei BRIC e il nome stesso sono nati agli inizi del 2000 in occidente, e precisamente all’interno della Goldman Sachs, il cui capo economista John O’Neill scrisse un paper intitolato Building Better Global Economic BRICs in cui prevedeva che il Pil e le economie di Brasile, Russia, India e Cina sarebbero cresciuti a dismisura nei successivi dieci anni determinando notevoli mutamenti politici, economici e monetari a livello mondiale.
O’Neill proponeva di riorganizzare la politica internazionale a partire dal G7 in cui si sarebbe dovuta limitare la rappresentanza occidentale agli Usa, alla Gran Bretagna e ad una nazione europea continentale (Francia o Germania), lasciando così la maggioranza dei “seggi” alla rappresentanza delle nuove economie globali. Inoltre, secondo O’Neill anche il Fondo Monetario avrebbe dovuto subire modifiche strutturali per accogliere queste nuove economie. Ovviamente gli inviti di O’Neil rimasero inascoltati dall’occidente, non, però da Russia e Cina.
Nel 2006 si tenne un vertice del G8 a San Pietroburgo e in tale occasione le potenze occidentali non riconobbero a Putin la crescita economica e il maggior peso politico che la Russia si era di fatto accaparrata nei mercati mondiali.
Così all’Assemblea Generale ONU del settembre 2008 il ministro degli esteri Lavrov intavolò un primo incontro con i ministri di Brasile, India e Cina per commentare i lavori dell’Assemblea. Si posero così le basi per quelli che divennero i BRIC (dalle iniziali dei paesi aderenti), lo scopo originario di tale alleanza era quello di sostenersi all’interno delle istituzioni di governance globale adottando strategie e linee guida da seguire per poter dialogare in modo paritario con il mondo occidentale.
Non si pensava ancora alla creazione di istituzioni economiche parallele, almeno fino alla crisi del 2008 quando i BRIC accarezzarono l’idea di contrapporsi come alternativa di fronte a quello che loro definivano un occidente in crisi. Così nel 2009 a Ekaterinburg, in Russia, si tiene il primo summit ufficiale dei BRIC.
Un mondo sbilanciato verso Occidente
Da tale summit emerse in modo palese il malcontento di Brasile, Russia, Cina e India verso un mondo ancora sbilanciato verso un Occidente che non aveva più la forza economica dei decenni precedenti, ma conservava le prerogative acquisite nel tempo.
Inevitabilmente, essi si posero come obiettivo principale una riforma delle istituzioni economiche internazionali, in primis del Fondo Monetario Internazionale e delle Nazioni Unite, per realizzare un sistema internazionale più democratico e non più limitato a pochi privilegiati paesi.
Il Fondo Monetario Internazionale è un’organizzazione pubblica a carattere universale composta dai governi di 190 Paesi che insieme al gruppo della Banca Mondiale fa parte delle organizzazioni internazionali denominate di Bretton Woods, dal nome della località in cui si tenne la famosa conferenza che ne sancì la creazione il 27 dicembre 1945.
Lo scopo di tali istituzioni è quello di promuovere la cooperazione monetaria internazionale, facilitare l’espansione del commercio mondiale, promuovere la stabilità e l’ordine dei rapporti di cambio evitando svalutazioni competitive fra le diverse monete, dare fiducia agli Stati membri rendendo disponibili le risorse generali del fondo per affrontare difficoltà nei pagamenti, il tutto con lo scopo di ridurre gli squilibri economici.
Da sottolineare è che ogni moneta, all’interno del fondo monetario internazionale, ha delle riserve valutarie, quella dominante è sempre stata il dollaro statunitense, che fino al 2001 possedeva il 71% di tutte le riserve del FMI, passando poi al 59% dopo la nascita dell’euro. Attualmente gli Stati Uniti rappresentano soltanto il 25% del prodotto interno lordo mondiale e il dollaro statunitense è utilizzato come moneta di riferimento nei pagamenti internazionali e perciò ogni moneta deve rapportarsi con la moneta americana, ciò ovviamente non è apprezzato dalla Russia e dalla Cina.
Una storica riforma della governance
Un importante risultato per i BRIC fu nel 2010 anno in cui riuscirono a far approvare una storica riforma della governance e delle quote di rappresentanza del Fondo Monetario Internazionale. Si modificò così la composizione del consiglio direttivo e i dieci maggiori azionisti del FMI divennero in ordine: USA, Giappone, Cina, Brasile, Regno Unito, Russia, India, Germania, Francia e Italia.
Fu un cambiamento storico perché non solo fu riconosciuto il ruolo crescente delle nazioni emergenti nell’economia mondiale, ma di fatto si stabilì che nessuna nazione poteva conservare una posizione nel FMI per diritto.
Nonostante l’approvazione di tale riforma la ratifica da parte degli stati membri del FMI fu molto lenta e quella degli Stati Uniti non ci fu mai, generando così forti attriti con le nazioni BRIC.
Sempre nel 2010 i BRIC, con l’adesione del Sud Africa, divennero BRICS e palesarono al mondo la loro intenzione di costituire un polo alternativo al G7 e al FMI, per poter contrastare le potenze occidentali che ancora non riconoscevano il loro ruolo nel mondo.
Un primo passo per la realizzazione dei loro piani era la creazione di una banca, cose che avvenne nel loro quinto summit, a Durban in Sudafrica nel 2013, in cui si decise di dar vita New Development Bank insieme allo stanziamento di un fondo di riserva di 100 miliardi, il Contingence Reserve Arrangement, con lo scopo di proteggere e far crescere le economie dei paesi membri attraverso prestiti in valuta locale e non più in dollari. Si diede il via a quello che fu ribattezzato il piano di “de-dollarizzazone”.
Nel 2014 i BRICS si mostrarono molto compatti in sede Onu astenendosi dal votare risoluzioni che imponevano sanzioni alla Russia per il suo ruolo nella crisi in Crimea.
Negli anni successivi la coesione tra i paesi BRICS all’interno delle istituzioni mondiali non è mai diminuita tanto che secondo molti economisti e analisti l’ambizione principale dei BRICS è quella di istituire una valuta comune che possa competere con il dollaro e l’euro.
L’invasione dell’Ucraina: l’inizio della fine
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, per molti esperti di geopolitica, sarebbe stato l’inizio della fine dei BRICS, invece la reazione del mondo occidentale ha compattato e rafforzato l’alleanza e la cooperazione tra Russia e Cina, dato che le sanzioni inflitte a Mosca più che danneggiare l’economia russa hanno penalizzato in modo significativo tutte le economie emergenti ruotanti attorno alla galassia BRICS.
Inoltre da ciò è derivato che durante il summit BRICS del 2022 con presidenza affidata a Xi Jinping nel corso dei lavori più volte si è insistito sul concetto di “nuovo ordine mondiale” e de-dollarizzazione.
Tutto ciò ha invogliato altri paesi a presentare adesione ai BRICS e così nell’agosto 2023 i BRICS hanno annunciato l’ingresso di Argentina, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iran, Egitto e Etiopia a partire dal gennaio 2024.
Nonostante l’espansione e il sempre maggior peso politico economico i BRICS presentano dei profili di criticità che non danno stabilità e affidabilità all’unione, tra queste criticità rilevanti sono: la mancanza di solidi trattati internazionali tra i paesi BRICS, le differenti politiche estere adottate e le tensioni tra Cina e India che sono sfociate anche in scontri tra i relativi eserciti in Kashmir.
Ciò però mostra come la mancanza di lungimiranza dell’occidente nel capire e mediare con le esigenze delle nuove potenze, ha inasprito relazioni internazionali e rallentato un armonioso e democratico sviluppo sociale mondiale, che avrebbe potuto portare a un mondo migliore.
Ora il problema è capire fino a quando le strutture politiche e rappresentative dell’economia globale potranno ignorare i nuovi equilibri e come potranno rimediare agli errori del passato per evitare quello che sembra uno scontro, non solo più politico ed economico, inevitabile, perché i BRICS stanno crescendo vertiginosamente rappresentando oggi il 18% del commercio mondiale e il 25% degli investimenti esteri a livello globale, unitariamente quella dei BRICS è un’economia che cresce del 33,4% su base annua e continuando così entro il 2030 sarà la più grande economia del mondo.
Tutti dati da non sottovalutare ma da considerare e in base ai quali elaborare nuove politiche e processi economici democratici su scala mondiale, perché in un mondo globalizzato lo scontro tra gruppi di potenze non può che degradare le condizioni di vita delle persone e rallentare lo sviluppo sociale.
Francesco Lamonea, Giovane Avanti
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