Acqua potabile per tutti e contrasto alle dispersioni idriche: le sfide del Terzo Millennio

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05.12.2022

L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ci informa che sul nostro Pianeta l’acqua sta diventando un bene sempre meno reperibile, innescando conseguenze gravi e reali sui mezzi di sostentamento, sul benessere e la salute delle persone.

I dati contenuti nel “Water Governance Program (WGP)” ci informano, infatti, che più del 40% della popolazione mondiale risiede in zone colpite da penuria idrica e che, durante il prossimo trentennio, la domanda di acqua dovrebbe crescere del 55%. Entro il 2050, 240 milioni di persone non avranno accesso all’acqua pulita e, qualora lo scenario attuale dovesse restare immutato, quasi un miliardo e mezzo di cittadini non potrà usufruire dei servizi di igiene sanitaria di base. Sia l’accesso alle risorse idriche che la loro erogazione andranno probabilmente peggiorando a causa dell’impatto del cambiamento climatico, fatto che richiede azioni incisive ed immediate.

In alcune zone del mondo, l’accesso all’acqua potabile si rivela essere un autentico privilegio. Nel corso degli ultimi decenni sono stati presi provvedimenti di una certa rilevanza in tal senso, se è dimostrato che circa l’89% della popolazione mondiale riesce a bere da una fonte d’acqua sicura (dati Actionaid 2022), è altrettanto vero che bisogna considerare che circa 768 milioni di persone non sono in grado di procurarsi nemmeno il minimo di acqua necessaria per la mera sopravvivenza giornaliera. Anche se il continente africano è il luogo per eccellenza in cui il problema si manifesta nella sua forma più grave, ci sono anche altri stati che soffrono della mancanza d’acqua potabile. Tra questi, Papua Nuova Guinea, in Oceania, dove meno del 50% della popolazione si abbevera a una fonte sicura; ma anche il Myanmar, la Cambogia, l’Afghanistan, il Tagikistan e lo Yemen, dove la stessa crisi coinvolge una percentuale della popolazione compresa tra il 50 e il 25%, con ricadute non solo sanitarie, ma anche in termini di produttività agricola, dal momento che il suolo finisce per essere arido e sterile.

L’Italia non è esente da questa situazione drammatica. L’Osservatorio ANBI (Associazione Nazionale Bonifiche Irrigazioni Miglioramenti Fondiari) rende conto che il Po, il più lungo corso d’acqua della Penisola, nel mese di novembre 2022 ha registrato una solo parziale ripresa di portata, in concomitanza degli apporti idrici dovuti alle precipitazioni registrate in Piemonte e Lombardia. In linea di massima, il fiume ha assunto un aspetto del tutto simile a una fiumara, il cui alveo tende a riempirsi solo quando piove a monte.

Nel nostro Paese, sempre più spesso si assiste a situazioni locali in cui l’acqua a disposizione non è sufficiente per coprire la domanda complessiva. Come ricorda l’Istat, “le peculiari caratteristiche idrogeologiche e climatiche della penisola italiana condizionano notevolmente la disponibilità e la distribuzione delle risorse idriche sul territorio”. Il Settentrione può contare sulla quasi totalità del prelievo da acque di falda (90%), mentre il Sud dipende da un 15 – 25% delle acque accumulate negli invasi. Inoltre, poiché molti di questi ultimi sono destinati ad usi plurimi, la scarsa piovosità mette in competizione tra loro diversi tipi di domanda per usi potabili e non potabili. 220 litri di acqua per abitante è la quantità erogata giornalmente dalle reti di distribuzione dell’acqua potabile per usi autorizzati (dati ISTAT 2015), cifra che colloca i cittadini italiani ai vertici dei consumi di acqua potabile in Europa: a mero titolo esemplificativo, la media nordeuropea si assesta intorno ai 190 litri. Il quantitativo minimo vitale è stimato in 50 litri al giorno a testa.

Le cause non vanno però ricercate solo nella sempre più frequente reiterazione di periodi siccitosi, come quello verificatosi tra l’estate e i primi mesi dell’autunno di quest’anno. La progressiva diminuzione della disponibilità idrica va imputata anche al deterioramento della qualità delle acque presenti nel sottosuolo. Le falde acquifere mostrano un preoccupante e crescente degrado delle loro caratteristiche, sia dal punto di vista fisico, sia da quello organolettico, con una notevole quanto allarmante ascesa dei valori di cloruro, sodio, durezza, conducibilità e calcio, nonché della presenza di metalli pesanti e analiti chimici altamente inquinanti. La cosiddetta “ricarica dell’acquifero” – corrispondente alla quantità d’acqua che si infiltra nel sottosuolo contribuendo alle risorse totali disponibili – è poi ostacolata dall’impermeabilizzazione del suolo, dalla canalizzazione delle acque piovane nelle reti fognarie e dal sovrasfruttamento delle falde più profonde per carenza di adeguata programmazione. Esiste una stretta connessione tra la qualità dei terreni e la quantità delle acque di circolazione, per cui eventuali contaminazioni del terreno, sia a livello superficiale che in profondità, si riverberano inevitabilmente pure sulle falde più basse.

Le crisi delle risorse idriche, infine, sono spesso frutto di governance errate, carenti di regole, pratiche e procedure attraverso le quali attuare decisioni per la gestione delle risorse e dei servizi e per le quali i decisori vanno considerati responsabili.

Come UIL, intendiamo ribadire quanto sia fondamentale promuovere buone pratiche e azioni politiche mirate per la conservazione del “bene acqua”, affinché esso venga tutelato e garantito.

Riteniamo che l’accesso all’acqua – da considerarsi sullo stesso piano della tutela della salute – sia un obiettivo imprescindibile.

In Italia piove sempre meno e, nell’ultimo mezzo secolo, abbiamo perso la disponibilità di 5 miliardi di metri cubi di acqua, senza che siano mai state concretamente predisposte risorse per affrontare questa emergenza. In tal senso, i fondi esistenti – non ultimi quelli previsti dal PNRR – andrebbero indirizzati verso la creazione di un “Piano Invasi” che aumenti la capacità di riserva idrica (attualmente all’11%), che renda più efficiente una rete che, ad oggi, perde il 50% dell’acqua che trasporta, che rafforzi le buone pratiche agricole nella gestione della risorsa idrica (riutilizzando anche le acque reflue), che, infine, sia in grado di creare, di riflesso, anche lavoro nuovo e di qualità, determinando un duplice vantaggio di natura ambientale e occupazionale.

Per quanto riguarda la difesa del territorio, infine, occorre investire nella prevenzione e puntare ad una gestione unica, ordinaria ed efficace del contrasto al dissesto idrogeologico, di cui il nostro fragile territorio – e le recenti tragedie delle Marche e di Ischia ce lo dimostrano – è sempre più frequentemente vittima.

Non solo la società civile, ma anche molte attività economiche dipendono dalla risorsa idrica, motivo per cui ci auguriamo che le istituzioni garantiscano una possibilità sempre più capillare di usufruire del “bene acqua”, anche in funzione delle crescenti tendenze di urbanizzazione, che implicano un consistente incremento della domanda.

L’accesso universale all’acqua è un diritto inalienabile che dev’essere garantito ad ognuno. Si tratta di una risorsa comune che appartiene indistintamente a tutti gli abitanti della Terra, e che, proprio per questo, merita maggiore rispetto e protezione per la sopravvivenza dello stesso Pianeta.

Dipartimento Ambiente UIL

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