LA TERRA BRUCIA: il punto di non ritorno è vicino
09.11.2022
Non abbiamo fatto abbastanza. È la dura verità con cui si è aperta la COP27 di Sharm el-Sheik. I grandi della Terra devono rifare conti e previsioni, perché gli Accordi di Parigi sono andati in fumo. Contenere il riscaldamento globale nei +1,5° C dall’età preindustriale, con il macro-obiettivo di rimanere entro i +2° C, oggi, non è più fattibile.
Dati che allarmano
A lanciare l’allarme è stato L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Già dallo scorso aprile, infatti, aveva segnalato che la temperatura terrestre era destinata ad aumentare di un grado e mezzo. Questo avverrà forse temporaneamente e per pochi decimali, ma non possiamo evitarlo. Non importa quanto diminuiremo le emissioni di gas serra, ormai il dado è tratto. Lo conferma il Max Planck Istitute for Meteorology di Amburgo che ha perfino approssimato l’anno in cui vivremo lo sforamento. Molto probabilmente sarà il 2035 e potremo tornare sotto il grado e mezzo solo nel 2070.
Più nello specifico sulla base dei dati dell’IPCC: “Se le emissioni di CO2 dovessero raggiungere lo zero netto durante i prossimi trent’anni e diventare negative in seguito, e se anche le emissioni di altri gas serra diminuissero, le temperature potrebbero scendere di nuovo sotto 1,5 gradi centigradi. In tutte le altre circostanze, tuttavia, il riscaldamento globale supererà gli 1,5 gradi”.
È concorde anche l’Organizzazione Metereologica Mondiale. Secondo i suoi studi, tra il 2022 e il 2026 soffriremo l’anno più caldo mai registrato.
Riscaldamento globale: quali scenari?
Questi valori, ovviamente, non sono scelti a caso. Superarli comporterebbe dei cambiamenti climatici al limite dell’apocalittico. Ad esempio, se la temperatura aumentasse di +1,6°C la copertura glaciale del mare di Barents si scioglierebbe nel giro di due decenni. Mentre, se l’incremento si limitasse a +1,5°C, sarebbero a rischio i ghiacci della Groenlandia. Collasserebbero in poche migliaia di anni: un arco temporale lungo solo in apparenza. Per i ritmi del Pianeta, infatti, sarebbe uno cambiamento rapidissimo.
Alla stessa temperatura, si sgretolerebbe anche la copertura glaciale dell’Antartide occidentale, in realtà già da tempo in pericolo. Destino simile toccherebbe al cosiddetto permafrost, il ghiaccio perenne delle aree più settentrionali dell’emisfero Boreale. In questo caso, le ricadute sarebbero ancora più gravi perché al suo interno sono incastrate enormi quantità di gas serra che, se sprigionate, accelererebbero in maniera esponenziale il riscaldamento climatico. Un circolo vizioso potenzialmente distruttivo. Come se non bastasse, tra +1,5°C e +2°C perderemmo i nostri ghiacciai alpini, le foreste boreali sostituirebbero la Tundra e potrebbero scomparire le barriere coralline. Di conseguenza, gli eventi climatici estremi sarebbero sempre più frequenti. Parliamo, quindi, di danni irreparabili all’ecosistema e alla biodiversità terrestre, con imprevedibili effetti sulla possibilità di vita umana sulla Terra.
Come salvarci?
Secondo gli esperti, per evitare il peggio dobbiamo raggiungere la neutralità climatica attorno al 2070. Questo significa che la transizione energetica non può essere più la voce di un’agenda politica di lungo periodo. Dalle parole dobbiamo passare ai fatti. È necessaria una conversione rapida dei modelli di produzione per azzerare le emissioni di gas serra. Le esigenze di produttività e gli interessi di profitto devono combinarsi con l’urgenza di soddisfare i bisogni umani in modo sostenibile. Guerra e crisi energetica certamente non sono d’aiuto, ma non abbiamo margine di scelta. E soprattutto non abbiamo tempo. Siamo già sopra l’aumento di 1,2°C e il punto di non ritorno è sempre più vicino.
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