Tecnologia e disuguaglianze: superare il digital divide
20.04.2022
Il digital divide è un problema di cui si parla da anni. Gli stessi che hanno accompagnato nel tempo l’esplosione e la crescita esponenziale del web e delle nuove applicazioni informatiche.
La tecnologia, lo sappiamo, offre numerose possibilità di democrazia, partecipazione, inclusione. È un volàno di sviluppo e di crescita. Rappresenta il progresso.
Eppure, al tempo stesso, può essere un fattore di allargamento delle disuguaglianze sociali. Sembra un paradosso, eppure è così.
Il problema del digital divide non è stato mai superato e, anzi, in questo periodo di accelerazione nel campo delle tecnologie e dei new media, si sta rendendo sempre più evidente.
Resistono difficoltà di connessione nelle aree più a Sud del Paese e nei paesi più piccoli e meno popolati; un’alta percentuale di persone – in particolar modo anziani, ma anche adulti nella fascia d’età 35 – 55 – ha una scarsa competenza digitale; i sistemi di digitalizzazione nella PA non riescono ancora a intercettare tutta la popolazione. Esemplare, in questo senso, è l’utilizzo dello Spid che non è ancora universale e genera disuguaglianze non indifferenti.
Basti pensare che numerose famiglie non hanno ancora potuto richiedere l’assegno unico universale proprio perché sprovviste di Spid o CIE per accedere al servizio.
Un esempio, questo, che dà perfettamente il senso delle difficoltà di inclusione che genera il digital divide. Senza contare tutti i bambini che non hanno avuto la possibilità di seguire la DaD in pandemia, perché in difficoltà coi dispositivi o la connessione. Gli anziani che non riescono più agilmente a prenotare una visita medica.
La tecnologia è un grandissimo e potente strumento per il progresso della società civile. Senza interventi e vere e proprie politiche dirette a sostenere chi è rimasto indietro, però, è e potrà ancora di più essere in futuro un elemento di disaggregazione e disuguaglianza.
Tanto più ora che i piani del PNRR stanno spingendo la digitalizzazione della pubblica amministrazione. E pubblica amministrazione vuol dire servizi.
Al tal proposito è giusto segnalare la crescita dei servizi di identità digitale che però non copre ancora tutta la popolazione. Il Dipartimento per la trasformazione digitale ha evidenziato come le attribuzioni di Spid, nel 2021, siano state oltre 27 milioni. Un grande numero, sicuramente, ma non sufficiente a garantire proprio a tutti l’accesso ai servizi.
Chi sono i soggetti più a rischio?
Persone che soffrono già di fragilità sociali elevate. (Bassa scolarizzazione, analfabetismo di ritorno, disoccupazione prolungata, emarginazione sociale. Sono elementi spesso associati al digital divide.)
Abitanti di piccoli paesi, spesso nel Sud Italia. (Le infrastrutture non sono uguali su tutto il territorio e non garantiscono le stesse performance a tutta la popolazione italiana. Si parla di 5G ma sono tante e ampie le aree ancora non coperte dalla fibra!)
Anziani che hanno difficoltà a comprendere come utilizzare i servizi offerti dalle tecnologie, non solo a livello pratico ma anche concettuale.
E allora, cosa fare?
Coinvolgere, informare, formare, investire nelle infrastrutture. Queste sono le chiavi principali per superare il digital divide.
Diffondere la cultura digitale, renderla amica di tutti, generando un vero e proprio nuovo umanesimo è il primo step, essenziale, per superare ogni forma di divario e disuguaglianza digitale. In questo modo si affina anche il concetto di inclusione sociale che, già oggi e ancor più nel futuro, non potrà essere dissociato dalla vita tecnologica.
Senza scomodare il paradigma del metaverso, aprire le porte alla digitalizzazione della vita sociale è il primo step per superare l’ostacolo.
La formazione, poi, è fondamentale e strategica. Forse, accanto agli investimenti nelle infrastrutture è il pilastro principale su cui fondare la nuova società digitale. Una formazione che è scolastica per i bambini e informale e diffusa per gli adulti.
Non è un caso che con il fondo “Repubblica Digitale” siano stati previsti 250 milioni di euro per contrastare il divario digitale culturale presente nella popolazione italiana attraverso il finanziamento di progetti di formazione.
L’inclusione sociale passa anche per la digitalizzazione. Ed è per questo che non si può sorvolare su questo punto. Il rischio, concreto, è quello di continuare a lasciare indietro chi già non ce la fa.
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