Senzatetto che lavorano, senzatetto che non votano: casi emblematici per riflettere sulla povertà

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19.10.2022

Tra il 1867 e il 1974, in diverse città degli Stati Uniti vennero emesse delle ordinanze, successivamente ribattezzate Ugly laws, che proibivano a poveri e disabili dalle gravi malformazioni fisiche di apparire in pubblico, per non turbare il pubblico benessere. Il filosofo francese Michel Foucault, nel suo saggio “Storia della follia nell’età classica”(1961), racconta come nell’Europa dell’età moderna venissero internati, oltre che i malati di mente, anche vagabondi e disoccupati. La storia ci pone schiettamente davanti alla nostra repulsione per la figura del senzatetto, destando momentanea indignazione, ma lasciando probabilmente inalterato il nostro diffuso senso di pena e deliberata indifferenza.

I senzatetto in Italia

Secondo l’associazione fio.PSD (Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora), in Italia si stima che ci siano 50724 persone senza fissa dimora. Di questi, risulta che l’85,7% sono uomini, il 58,2% sono stranieri, il 76,5% vive da solo e più della metà, il 56,0%, vive al Nord. Riguardo anche all’ultimo punto, è interessante notare come secondo una classifica delle 25 città con il più alto numero di persone senzatetto redatta dalla Commissione delle Nazioni Unite sui Diritti Umani, 16 sono Città di paesi ricchi. Soprattutto metropoli Statunitensi, ma anche alcune capitali europee, con Roma che si piazza al 16esimo posto. Ciò fornisce un pesante spunto di riflessione sulle disuguaglianze di reddito e sulla mole di un problema che, come i senzatetto stessi, sembra essere lasciato da parte.

Sono ancora troppo pochi infatti i progetti di aiuto per le persone senza fissa dimora – dal punto di vista legale, abitativo etc. – e la maggior parte sono organizzati da enti del terzo settore come Caritas e Croce Rossa, non da enti statali, i cui contributi sono ahimè troppo lievi. Recentemente però l’Unione Europea sta facendo passi avanti: l’anno scorso si è tenuta a Lisbona la conferenza di lancio della piattaforma europea per la lotta contro la mancanza di una fissa dimora, che si pone gli obiettivi di stimolare il dialogo, facilitare l’apprendimento reciproco, il miglioramento della raccolta di dati e il rafforzamento della cooperazione tra tutti i soggetti coinvolti nel contrasto al fenomeno. I progetti saranno finanziati dal Fondo sociale europeo Plus (FSE+) per 99,3 miliardi di euro nel periodo 2021-2027.

I senzatetto all’anagrafe

Ma la questione morale dell’indifferenza non può essere risolta dall’occasionale monetina compassionevole, e necessita invece riguardo alla natura strutturale del fenomeno. Un modo tra tanti potrebbe essere quello di preoccuparsi della voce politica di quella che si può considerare come fascia più fragile della popolazione. Non disponendo infatti di un indirizzo di residenza, avere assegnato un seggio elettorale e compilare la dovuta documentazione anagrafica comporta diverse difficoltà burocratiche. Alcune amministrazioni locali hanno trovato una soluzione, che però è largamente sconosciuta, poco praticata e poco pubblicizzata. Ciò consiste nell’istituire una cosiddetta “via fittizia”, ovvero un indirizzo designato ad hoc dalle amministrazioni territoriali, senza alcuna corrispondenza geografica reale, che funge da surrogato legale alla mancanza di domicilio. Favorire la partecipazione alla vita pubblica delle categorie più emarginate, oltre che un riconoscimento di dignità, è un piccolo passo verso un maggior livello di giustizia sociale.

Il lavoro rende liberi? Non proprio

Un altro scenario estremo ed eclatante, ma utile come monito anche per situazioni meno drammatiche, viene dalla California. Il Golden State, pur essendo uno degli Stati più ricchi del paese, presenta una crisi abitativa estremamente profonda e duratura. Come se questa informazione da sola non bastasse a riflettere sul tema delle disuguaglianze sociali e del divario di opportunità, una ricerca del 2018 mette in evidenza una statistica allarmante. Da un censimento della popolazione senza fissa dimora nella Contea di San Diego, risulta infatti che il 10% dei senzatetto della zona ha un contratto di lavoro. I numeri sono coerenti anche con la città di San Francisco (14% nel 2017) e con la contea di Los Angeles, dove il 27% dei senzatetto con figli a carico risulta avere un lavoro part-time o addirittura a tempo pieno.

Contratti di lavoro che non sono sufficienti a uscire da una condizione di estrema povertà pongono davanti a una seria riflessione sulla questione della qualità e della dignità del lavoro, rilevante anche nel dibattito politico italiano recente su salario minimo e reddito di cittadinanza, specialmente in luce del recente carovita. Così come è rilevante il tema della partecipazione politica degli ultimi, in un paese in cui l’affluenza alle urne è ai minimi storici e il parlamento rappresenta meno della metà dei cittadini italiani.

di Matteo Celli – Testate Sul Banco

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