Quali sono le lauree più richieste dal mercato del lavoro?

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31.08.2023

In Italia è presente ormai da anni una difficoltà cronica nell’incrociare efficacemente domanda e offerta di lavoro: la difficoltà di reperimento del personale che le aziende lamentano – Un fenomeno che nel 2022, secondo Unioncamere, pesava sul 40% delle imprese – va a scontrarsi con una disoccupazione e tassi di inattività (Neet) ancora molto alti.

Le cause sono molte: dalla difficoltà d’ingresso stabile nel mondo del lavoro legata alla precarizzazione – e alla conseguente difficoltà di formazione e specializzazione legata alla mansione – alla tarda uscita dallo stesso, che rallenta il ricambio generazionale, fino alle divergenze tra le formazioni possedute dai giovani e quelle richieste dalle aziende. Mi spiego meglio: data la difficoltà di incrociare “il corretto ambito o grado” di specializzazione richiesta dalle aziende ai nuovi dipendenti, questa si riflette nell’incrocio domanda-offerta, che vedrà un surplus della prima verso la seconda.

Ed è così che troviamo professioni ad alta specializzazione ma fortemente sature di personale, i cui stipendi saranno più bassi, o al contrario professioni che richiedono magari anche un minor grado di specializzazione ma che magari sono più “moderne” – nuove e funzionali – e il cui mercato non è ancora saturo, il che comporta stipendi più alti della media, che rimane ancora decisamente troppo bassa.

Un’altra causa è la dimensione media delle imprese italiane: il 95% delle imprese italiane ha meno di dieci dipendenti, come riporta Istat nel 2021. Una tipologia d’impresa – dati alla mano – solitamente meno produttiva e innovativa, che quindi richiede meno personale specializzato e/o laureato.

L’Italia e l’Europa

Quando si parla di relazione tra formazione e occupazione il nostro Paese non ha rivali. In negativo però. Secondo Eurostat il tasso di occupazione dei laureati recenti (da uno a tre anni dal titolo) è il più basso in Europa, dietro anche all’Europa orientale e a ogni altro Stato europeo affacciato sul Mediterraneo: nel Bel Paese solo il 65,2% trova un lavoro a tre anni dalla laurea.

Italia, Grecia (66,1%) e Romania (69,9%) sono peraltro le uniche tre nazioni con un dato sotto al 75%. 

Per quanto riguarda i Paesi di riferimento troviamo Portogallo, Spagna e Francia intorno all’80% (rispettivamente 81,1%, 79,1% e 78,6%), tutta l’Europa centrale e del Nord sopra l’85% con picchi oltre il 90%, come nel caso di Islanda (92,1%), Germania (92,2%), Paesi Bassi (92,9%) e Lussemburgo (93,4%).

Insomma, laurearsi in Italia conviene molto meno rispetto al resto dell’Unione europea.

Le lauree più ambite

Non tutti gli ambiti di studio danno accesso alle stesse opportunità. Ma quindi quali sono le lauree più richieste dal mercato del lavoro? Il recente rapporto di Almalaurea 2023 ha stimato il tasso di occupazione per gruppo disciplinare a cinque anni dal conseguimento della laurea: i dati più alti vengono riscontrati nei gruppi ingegneria industriale e dell’informazione, informatica e tecnologie ICT, architettura e ingegneria civile, economico e medico-sanitario e farmaceutico, tutti gruppi in cui più del 90% dei laureati ha trovato un’occupazione nel lasso di tempo considerato.

Tra quelle meno richieste troviamo invece i gruppi educazione e formazione, politico-sociale e comunicazione, psicologico, giuridico e letterario-umanistico, gruppi dove i dati si abbassano in alcuni casi sotto all’85% e raggiungono minimi dell’81,3% per l’ultimo gruppo citato.

Diritti e retribuzioni dopo la laurea

Come detto in apertura, è ovvio che la difficoltà di reperimento incida anche sulle retribuzioni: infatti tra i laureati magistrali con le retribuzioni maggiori troviamo quelli in informatica e tecnologie ICT e quelli in ingegneria industriale e dell’informazione, con valori mensili netti superiori ai 2000 euro. 

Così come tra i gruppi “meno remunerativi” troviamo quelli meno appetibili, come il gruppo educazione e formazione e quello psicologico, con valori che si aggirano intorno ai 1.400 euro netti.

Anche qui l’inflazione e la stagnazione degli stipendi nel nostro Paese giocano un ruolo fondamentale: a cinque anni dalla laurea si osserva infatti una riduzione delle retribuzioni reali rispetto alla solita rilevazione del 2021, che calano del -2,4% per i laureati triennali e del -3,3% per quelli magistrali.

Verrebbe poi da domandarsi quale sia il percorso occupazionale dei giovani laureati: un discorso è trovare un’occupazione, magari anche coerente col proprio percorso di studi, un altro è trovarne una stabile, che rispetti in toto i diritti dei lavoratori e – come direbbe Checco Zalone, “se il budget del sogno non è finito” – che riesca a coniugarsi bene con la vita privata.

Gli ITS

Alzi la mano chi sa cosa sono gli ITS. Purtroppo sono percorsi ancora troppo poco conosciuti – i diplomati in Italia sono solo circa 20mila – ma dal potenziale altissimo: sono percorsi terziari – da svolgere successivamente al diploma, quindi paralleli all’università – di specializzazione tecnica e professionalizzante e sono svolti in diretta collaborazione con le aziende e che, proprio per questo, prevedono molte ore – circa il 30% delle ore totali di formazione – direttamente sul posto di lavoro, motivo per cui l’occupabilità è molto alta.

Proprio quest’ultimo dato è il fiore all’occhiello di questo sistema: si parla dell’80% dei diplomati che trovano lavoro e del 90% dei casi che lo trovano nell’ambito di studi, numeri irripetibili in Italia con altre modalità di formazione.

Ma il vero punto è che per ovviare alla discrepanza tra competenze offerte e quelle richieste dal mondo del lavoro, non c’è niente di meglio di aziende che formano direttamente, come nel caso degli ITS, i giovani per svolgere mansioni ad alta specializzazione. Non saranno sicuramente la panacea dei mali dell’occupazione italiana, ma è giusto riconoscere la correttezza di un metodo che punta sulla concertazione – e non solo sul mero profitto – e che offre risultati incoraggianti, almeno fino ad ora.

Conclusioni

In Italia si è spesso, per non dire sempre, pensato alla quantità prima che alla qualità. Basta guardare al telegiornale: quando si parla di dati relativi all’occupazione non si fa mai riferimento alla sua qualità, non si fa riferimento alla precarizzazione imposta negli ultimi anni dalla crescita coatta degli occupati, non si fa riferimento ai diritti negati e ai soprusi che molti di quei giovani si trovano costretti a sopportare pur di vedere un futuro nel mondo del lavoro.

In sostanza, ci troviamo in un Paese dove il fatto che gli stipendi sono fermi da trent’anni rappresenta solo la punta dell’iceberg dei problemi del lavoro, in cui la difficoltà nel colmare domanda e offerta è uno scoglio notevole al raggiungimento di livelli di occupazione accettabili: non possiamo pensare che le toppe possano reggere l’allargarsi del buco, occorre trovare un indirizzo che risolva i problemi a lungo termine, non fino alle prossime elezioni.

Riccardo Imperiosi, Direttore Giovane Avanti

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