Neet: sempre più giovani non studiano e non lavorano

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13.01.2022

“I giovani sono il futuro”: è una di quelle frasi che ascoltiamo e magari pronunciamo spessissimo. E lo facciamo credendoci; perché, in effetti, un valore fondamentale per la crescita del tessuto economico e sociale di un paese è rappresentata dalle nuove leve, da tutti coloro che possono portare idee, che potrebbero avere un approccio fresco e innovativo al mondo lavoro. Eppure, i dati restituiscono una realtà decisamente diversa e distante. Cresce, sempre più, il popolo dei Neet, formato da giovani donne e uomini che non studiano, né lavorano. Qualcuno li ha definiti “mammoni”, ma la questione è più complessa di così.

Sarebbe superficiale attribuire un’etichetta senza analizzare con perizia il fenomeno. L’Istat fornisce dei numeri che, a primo impatto, lasciano pensare esattamente questo: le ragazze e i ragazzi non diventano autonomi perché è più semplice e comodo dipendere dai genitori. Eppure, non è così. Le ragioni hanno una matrice più pragmatica: non si tratta di mera pigrizia, anzi.

Proviamo, sulla base dei dati, a comprendere cosa spinge i giovani a rinunciare agli studi e alla ricerca entusiasta di un lavoro. Come anticipato, l’Istat ha evidenziato quanto i giovani italiani siano indietro nel diventare autonomi rispetto alla media europea.

Il 2020 ha visto il 23,3% delle ragazze e dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni abbandonare gli studi e non impegnarsi nella ricerca di un impiego. Dalle indagini approntate sui Neet è emerso che molti decidono di non proseguire gli studi perché in parte sfiduciati e in parte impossibilitati a sostenere le spese che, in molti casi, un’adeguata formazione richiede.

Aggiungiamo un altro tassello: queste statistiche riguardano per la maggiore il Meridione. Sicilia, Calabria e Campania contano il tasso percentuale più elevato di giovani che non prosegue gli studi. Stesso discorso, tristemente, si replica per le ragazze e i ragazzi disoccupati.

Quanto all’occupazione, più nello specifico, dobbiamo sottolineare che se si è in possesso di più titoli accademici, le possibilità di trovare un impiego crescono. Il livello di istruzione diventa dunque l’indicatore principale delle opportunità.

A questo punto la riflessione si sposta su due canali: il primo riguarda la condizione economica in cui versano tantissime famiglie italiane. Il secondo, invece, è meno pratico: cosa manca davvero ai Neet? L’insufficienza di prospettive porta davvero all’apatia verso il futuro? Infine: quanta reale consapevolezza hanno i giovani delle proprie possibilità? Tra le altre cose, bisogna anche considerare gli effetti della pandemia che ha caratterizzato l’ultimo biennio. Si potrebbe auspicare una reazione emotiva alle criticità, ma i supporti pratici non devono e non possono mancare.

 

Redazione TERZO MILLENNIO

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