L’informazione di oggi: tra notizie e sensazionalismi

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08.08.2023

Da anni è sotto gli occhi di tutti: il mondo dell’informazione sta cambiando alla velocità della luce. I canali di comunicazione sono sempre di più – basti pensare ai social, che vanno ad aggiungersi ai media “classici” come giornali, radio e tv – e l’attenzione degli utenti sempre meno: è stato calcolato recentemente che l’attenzione media di un utente sui social – dove i giovani si informano di più – si aggira intorno ai 47 secondi, una cifra che rende impossibile a chiunque dare un’informazione esauriente.

Per questo la rete, vero habitat dell’informazione nel Terzo millennio, si sta attrezzando per una lotta spietata all’ultimo secondo di attenzione degli utenti, cercando di catturarla spesso con metodi non propriamente ortodossi giornalisticamente parlando. Lo si fa in tanti modi: con le liste – ad esempio “le dieci località da frequentare questa estate” – o con i clickbait.

Il clickbait: un’ode al sensazionalismo

Clickbait significa letteralmente “acchiappaclic”, ed appare chiaro fin da subito come sia semplicemente “un’ode al sensazionalismo”. Si tratta di contenuti editoriali con titoli accattivanti e sensazionalisti che incitano l’utente a cliccare, facendo leva sull’aspetto emozionale dell’utente. Ma c’è un clickbait “buono” e uno “cattivo”: quando la notizia è vera e si usa questo metodo solo col titolo – abitudine anche delle testate più importanti per sovrastare la concorrenza su una stessa notizia – possiamo parlare di clickbait “buono”; quando invece è la notizia in sé ad essere sensazionalizzata, distorcendo la realtà o comunque omettendo aspetti importanti della notizia, si parla di clickbait “cattivo”. Che poi non è altro che il fine ultimo della fake news, che ne rappresenta il mezzo: attirare più visitatori, e quindi lettori, possibili per poi influenzarne il pensiero.

La concorrenza nell’informazione

Al netto delle fake news – fortuna che esistono i siti di debunking, che vanno a verificare le notizie – spesso assistiamo a un clickbait “buono”, volto solo ed esclusivamente a “superare” la concorrenza in materia di visualizzazioni. Prima puntualizzazione: di fatto non esiste un clickbait buono, comunque parliamo di un metodo deontologicamente sbagliato per attirare lettori. Seconda puntualizzazione: la concorrenza nel mondo dell’informazione, con l’avvento del Web e soprattutto dei social, è davvero spietata e questa azione spesso garantisce quei lettori in più che fanno la differenza da un punto di vista commerciale.

Parlavamo della concorrenza nell’informazione italiana. Il suo sviluppo è sempre stato appaiato alla rivoluzione tecnologica in atto nell’ultimo mezzo secolo: siamo partiti da carta stampata, radio e televisioni, a cui poi si è aggiunto il Web, che possiamo indicare come prima “liberalizzazione” dell’informazione dalle grandi potenze della comunicazione.

Una liberalizzazione comunque parziale, che si è completata solo con i social network – soprattutto negli ultimi anni con Instagram e TikTok: di fatto oggi non si contano più i gruppi editoriali partiti dai social media che competono regolarmente con i giganti dell’informazione italiana, andando a complicare un mondo già iper-concorrenziale di suo. Ed ecco che, per ovviare a questa complessità, si arriva ai sensazionalismi: più visualizzazioni, più lettori, più utenti significano più entrate pubblicitarie e un miglior posizionamento tra le rigide maglie del Web.

La difficoltà della carta stampata

Tra i canali di comunicazione sicuramente quello che sta attraversando il periodo più complicato è la carta stampata. Sono moltissimi – la maggioranza – gli italiani che preferiscono metodi molto più “a portata di mano” (o di click), scegliendo video o i social per approfondire le notizie più interessanti. Certo, anche i quotidiani si sono dotati di versioni digitali per sfogliare comodamente il giornale dal proprio smartphone, ma comunque sembrano aver perso appeal tra la popolazione.

Fortuna che per molti, ma non per i maggiori come Corriere, Repubblica, La Stampa, Il Sole 24 Ore e Il Fatto Quotidiano, esistano i contributi pubblici per far funzionare le complesse macchine redazionali. E che contributi: nel 2021 sono stati assegnati circa 30 milioni di euro, tra cui oltre 6 al quotidiano trentino (pubblicato in tedesco) Dolomiten, complessivamente quasi dodici ai cattolici Famiglia cristiana e Avvenire, circa quattro a Italia Oggi, la Gazzetta del Sud e Libero, 3,3 al Manifesto e 1,9 a Il Foglio.

La libertà di stampa in Italia

Come sappiamo, anche se in netta ripresa, le difficoltà dell’informazione in Italia non sono solo legate all’economia della carta stampata: ad oggi l’Italia ricopre la 41esima posizione nella classifica per la maggiore libertà di stampa, un posizionamento di certo non lusinghiero ma sicuramente migliore di quello dello scorso anno, dove ci classificavamo 58esimi. La classifica, stilata da Reporter Sans Frontieres (Rsf), prende in considerazione fattori come le minacce della criminalità organizzata, specialmente nel sud del Paese, e dI gruppi estremisti violenti, fattori peggiorati durante la pandemia.

Insomma, il mondo dell’informazione e quello della comunicazione vanno intrecciandosi sempre di più, scoprendo nuovi aspetti della psicologia dell’utente finalizzato alla cattura della sua attenzione, per vincere l’incessante guerra dell’ultimo click. Un sintomo della velocità di questo mondo: l’attenzione è poca, le notizie diventano vecchie – o quantomeno aggiornate – alla velocità della luce e i sensazionalismi inquinano un mondo in cui l’aria è già irrespirabile.

Riccardo Imperiosi, Direttore Giovane Avanti!

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