Le serie TV e l’instant gratification
28.01.2023
Sarà sicuramente capitato a tutti noi, soprattutto dopo l’esplosione dei servizi di streaming a far da concorrenza a Netflix (i vari Prime Video, Disney+, Paramount+ e chi più ne ha più ne metta), di divorare una serie tv a tempo di record, di voler vedere l’ennesimo episodio nonostante siano ore che siamo davanti allo schermo, di rispondere “si” alla fatidica domanda di Netflix “stai ancora guardando?”.
Questo fenomeno ha un nome, si chiama Binge Watching – in italiano lo possiamo definire come maratona televisiva – ovvero il consumo continuo e accelerato di più episodi di una serie in un periodo di tempo molto breve.
Il Binge Watching
Se ci comportiamo così, è anche perché sono gli stessi produttori di contenuti che incoraggiano gli utenti ad “abbuffarsi” e adottano attivamente pratiche di produzione e distribuzione di contenuti che favoriscono questa modalità di consumo estrema. Pratiche come lo sviluppo di trame che si estendono per diversi episodi o per un’intera stagione, terminando gli episodi con un “cliff-hanger“, cioè un colpo di scena che invoglia a continuare la visione.
A livello di studio questo fenomeno, ancora poco concettualizzato, è oggetto di due filoni: chi usa un approccio basato sul “numero minimo di episodi per sessione” (ad esempio, Schweidel & Moe, 2016) e chi un’operazionalizzazione basata sulla “lunghezza della sessione di visione” (ad esempio, Trouleau et al., 2016).
La differenza tra i due è che per i primi il fenomeno si definisce in base agli episodi visti per sessione, secondo uno studio Netflix del 2013 almeno tra i due e i sei episodi, anche se così non va a influire la durata complessiva della sessione: una sessione da tre episodi de “I Simpson” da 25 minuti non corrisponde a una da tre episodi da 45 minuti de “La casa di carta”.
Esiste però una crescente corrente di ricerca che prova a guardare il Binge Watching dalla prospettiva della teoria degli usi e gratificazioni. Vediamo di che cosa si tratta.
La teoria degli usi e gratificazioni
Stiamo parlando di una teoria delle scienze della comunicazione nata negli anni sessanta che mira a riprendere la centralità del pubblico e dello spettatore: si basa infatti sull’assunto che le masse fruiscono dei media per soddisfare i loro stessi bisogni e quindi sono in grado di influenzare le scelte compiute dai media stessi, e non solo subirne passivamente gli effetti.
La teoria si basa su quattro assunti fondamentali: il primo è che il pubblico è considerato come attivo, un’idea che si concentra sul fatto che gli spettatori sono orientati verso uno scopo che cercano di realizzare attraverso l’uso dei mass media, i quali rispondono colmando i bisogni del pubblico (una sorta di relazione biunivoca in cui a giovarne sono più i secondi dei primi); il secondo è che nel processo di comunicazione di massa gran parte dell’iniziativa nel collegare il bisogno di gratificazione e la scelta di quali media utilizzare rimane al pubblico, sostanzialmente l’idea che le persone utilizzano i media per il loro proprio vantaggio più di quanto i media usino loro; il terzo riguarda i mass media, che competono con altre risorse per la soddisfazione dei bisogni del pubblico; infine il quarto è che molti dei successi nell’uso dei media, attraverso il soddisfacimento di informazioni, possono essere raggiunti anche dalle persone con le loro personali capacità, per questo le gratificazioni trovano origine nel contenuto mediale, nell’esposizione e del contesto sociale nel quale si colloca l’esposizione. Il tutto si può riassumere nella gratificazione che il mass media – in questo caso i produttori di serie tv – tenta di dare al consumatore: più questa sarà immediata e maggiore sarà il consumo ossessivo del prodotto offerto.
I primi studiosi ad aver adattato questa teoria al fenomeno del Binge Watching sono stati Matthew Pittman e Kim Sheehan. Ma se possiamo adattarla alla “nuova televisione”, quella in streaming in cui i feedback degli utenti sono molto più facili da registrare, ma soprattutto quella dove sono gli utenti a decidere cosa vedere e non direttamente le reti attraverso il palinsesto.
Ma se le serie tv costruite sulla base della gratificazione sono sicuramente “un modo più interessante, divertente e coinvolgente di guardare la televisione“, come lo hanno definito i 263 utenti di Netflix intervistati dai due studiosi appena citati, possiamo affermare con altrettanta sicurezza che, alla lunga, questo metodo porterà al declino delle serie per due motivi. Il primo è che cercando la continua gratificazione si ha dopo poco tempo l’innalzamento della soglia minima da raggiungere per il consumatore: il risultato è che i prodotti ci sembrano tutti uguali – una sensazione comune per molti – e questo porta a creare molti più contenuti di quanti ne riusciremmo mai a vedere. Il secondo è che questo metodo porta i produttori a cercare sempre di più, visto l’enorme quantità di contenuti da produrre, di limitare le spese in proporzione ai risultati ottenuti: ecco fatto che la qualità del prodotto si abbassa notevolmente e che talvolta prodotti validi e apprezzati dall’audience vengono improvvisamente cancellati per via di un mercato troppo di nicchia.
Come tutto ciò che riguarda il consumismo ossessivo e quell’atteggiamento fast fast fast, anche il Binge Watching e la teoria degli usi e gratificazioni dietro la costruzione delle serie tv porta a divorare mercato e consumatori. Avere prodotti di qualità sarà sempre più difficile per l’intreccio tra la forzata economicizzazione delle grandi case e tra la soglia minima di gratificazione necessaria sempre più alta. Una spirale che condurrà inevitabilmente verso il declino delle serie tv.
Riccardo Imperiosi, Direttore Giovane Avanti!
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