La terapia dell’abbraccio come strumento di condivisione universale

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21.01.2023

La comunicazione non verbale è lo strumento che, anticipando le parole ha permesso all’uomo, e ancor prima ai primati, di comunicare e di affermare le proprie volontà e bisogni nei confronti degli altri individui. Probabilmente con la parola, molte intenzioni ed emozioni vengono spesso concretizzate nero su bianco o verbalizzate con le più o meno abili competenze linguistiche di ognuno di noi, in sostituzione di tutto ciò che con naturalezza prima esprimevamo con versi, gesti e comportamenti.
Eppure, soprattutto noi italiani, quando siamo in difficoltà o quando vogliamo rafforzare la nostra comunicazione verbale usiamo molto i gesti, una caratteristica spesso rimarcata come peculiarità internazionale, nostra ultima arma da sfruttare quando cerchiamo di comunicare in una lingua che non conosciamo.

Ci sono gesti che sono rimasti tali, ci sono parole che semplicemente rafforzano un gesto, ma il linguaggio del corpo è tra le più affascinanti caratteristiche degli esseri viventi e l’abbraccio in assoluto è il punto di contatto massimo tra individui non per forza partner o compagni di vita.

Usiamo l’abbraccio per dimostrare sentimenti più o meno forti o per dare conforto, indubbiamente è tra le prime interazioni sociali che scopriamo fin dalla nascita, appena venuti al mondo subito siamo tra le braccia di qualcuno e ci rimarremo per i primi anni della nostra vita.

Crescendo riserviamo gli abbracci, circoscrivendoli man mano alle persone più strette, agli amici più intimi e ai parenti: una parsimonia non del tutto comprensibile.

Il fenomeno sociale del “Free Hugs” nato a Sidney a partire dal 2004, con la sua diffusione globale ha permesso ad esempio di distruggere quella catena convenzionale e ha permesso a tanti sconosciuti di concedersi un momento di gentilezza casuale e disinteressata.

Un momento di sorriso, un attimo di vicinanza tra passanti che per un momento intrecciano le proprie vite nella velocità della loro quotidianità, dandosi la possibilità di entrare in contatto con chi offre questa predisposizione indistintamente da ogni precetto.

Pare che secondo una ricerca della Ruhr-Universität Bochum, pubblicata su Psychological Research, abbiamo una preferenza nell’abbracciare da destra, e che tendenzialmente usiamo il lato sinistro per gli abbracci più coinvolgenti dal punto di vista emotivo.

Nella ricerca sono stati analizzati circa 2500 abbracci ed è emerso che l’abbraccio tra due uomini è un’eccezione, spesso considerata come esperienza negativa anche in contesti neutrali.

Eppure esistono studi che dimostrano addirittura un effetto curativo dell’abbraccio, per esempio dormire abbracciati riduce i livelli di cortisolo (ormone dello stress), rilasciando ossitocina e riducendo la possibilità di infezione e di malattie cardiovascolari.

L’abbraccio insomma fa bene. Perché privarci di tale condivisione ponendo una questione di genere?

Il contatto fisico tra due individui è comunque una rottura della propria intimità sociale, spesso gli uomini si abbracciano quando condividono una grande gioia assieme (banalmente anche per una vittoria della squadra del cuore), ma fanno probabilmente più fatica nell’ottica di una condivisione spontanea di sentimenti e di un conforto in empatia. Questo meccanismo esula forse dall’abbraccio e si riconduce alla minor predisposizione del genere maschile alla sensibilità e alla condivisione di emozione e sentimenti, idea probabilmente diffusa ma non per forza scientifica.
Chissà se tutto è collegato, chissà se scegliere i soldatini come regalo di Natale e proibire di giocare con le bambole ad un bambino di sesso maschile possa in futuro influenzare la sua capacità o meno di lasciarsi andare ad un abbraccio tra uomini o alla predisposizione ad un confronto emotivo tra pari genere.

“L’abbraccio è la forma di comunicazione non verbale più potente. Inoltre nel corpo scatena meccanismi biologici, che quando vengono a mancare provocano una sorta di astinenza”.

Questo è quanto dimostrato dal Saggio “La scienza degli abbracci” di Francesco Bruno e di Sonia Cantarini, neurobiologa dell’Università la Sapienza Di Roma che hanno studiato quanto gli abbracci e i contatti fisici sono mancati durante i lockdown pandemici e quanto hanno condizionato la psicologia e i comportamenti degli italiani a seguito di questa “astinenza”.

Se ci pensiamo bene, per abbracciare abbiamo bisogno di allargare le mani e di disarmarci da ogni eventuale distanza, con l’abbraccio due individui riescono ad accostare nel punto più vicino i loro cuori e silenziosamente hanno possibilità di sentirsi respirare e comprendersi, accogliersi e rassicurarsi.
Proprio in questi giorni, subito dopo la cattura del latitante Matteo Messina Denaro a Palermo, i passanti abbracciavano i carabinieri e gioivano assieme, non c’è migliore immagine per raccontare  l’abbraccio e la sua potenza, che va oltre ogni divisa, oltre ogni ruolo e condizione sociale, con il solo potere di avvicinare universalmente e condividere i momenti nella loro interezza.

Un abbraccio a tutt*!

Valerio Camplone

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