La solidarietà che nasce nelle difficoltà: la tragedia di Ischia raccontata in prima persona
21.12.2022
Per un attimo, immaginate di vivere in un luogo bellissimo. Una rigogliosa e calma isola, specie fuori stagione, incastonata nel Golfo di Napoli. Un’isola di appena 20.000 abitanti, dove si conoscono un po’ tutti. Terra di pescatori che vivono di ciò che sa offrire loro un mare ricco e di contadini che coltivano erbe e vigneti sulla montagna. Un’isola famosa per le sue acque termali, meta turistica amata e molto ambita da turisti provenienti da tutte le parti del mondo. È Ischia: l’isola “Verde” sulla quale ho vissuto per 11 anni della mia vita e che considero la mia seconda casa.
Venerdì, 25 novembre, era una giornata piovosa, un po’ meno rispetto a quelle precedenti e questo aveva permesso a me e a mia madre di uscire per fare la spesa. Mentre mia madre guidava, sentiamo alla radio la notizia che non avremmo mai voluto sentire: c’è stata una frana ad Ischia, l’ennesima causata dal cattivo tempo. Ogni volta che ci sono forti temporali con piogge torrenziali, il pensiero della mia famiglia, trasferitasi sulla terraferma, non può che andare alla parte di famiglia rimasta sull’isola. Mia madre ha un colpo, sbanda, mette le quattro frecce e quasi si ferma in mezzo alla strada. Mi da’ il cellulare e mi chiede di cercare più informazioni. Scopriamo che la zona interessata alla frana è Casamicciola Alta, dove abita “Zia Stefanina”, una mia nonna alla lontana.
Mando subito un messaggio alla mia ex professoressa di Matematica, Sandra, che vive ad Ischia, chiedendole cos’è successo. Mi risponde preoccupata, anche lei aveva pregato affinché ciò non succedesse, ma le preghiere non sono bastate a frenare la sciagura, ad evitare la tragedia.
“Siamo morti Gaia, siamo tutti morti” dice alla fine della nota vocale la mia prof. Lei fortunatamente abita in un’altra zona dell’isola non interessata dall’accaduto, ma racconta che uno dei suoi ex alunni è stato coinvolto nella frana e che i suoi compagni di classe ed altri ragazzi del liceo lo stanno cercando disperati.
Nel frattempo arrivano le prime immagini della tragedia, sui social, sulle testate on line. Quella che mi rimarrà per sempre impressa nella mente ritrae un enorme masso che ha sfondato la porta di un edificio color rosso mattone: l’abitazione di mia nonna.
Non appena riusciamo a contattarla mia nonna comincia a raccontarci ancora scossa ciò che ha visto. Lei ha un albergo sull’isola e vive nell’attico e quando è successa la tragedia era sveglia. Ormai sono cinque anni che non riesce più a dormire di notte, da quando c’è stato il terremoto nel 2017. Da allora, con la paura che possa succedere qualcosa durante il sonno, l’ansia diventa così forte che si trasforma in insonnia e mia nonna preferisce aspettare le prime luci dell’alba per mettersi a letto.
Era alla finestra e stava proprio per mettersi a dormire quando ha iniziato a sentire dei forti rumori, dei lunghi boati, provenire dall’esterno. Con un terribile senso di dejavù che si è andato a sommare alla paura del temporale, si è affacciata al balcone, ed è stato proprio in quel momento che ha visto la colata di fango, alberi, detriti e qualsiasi altra cosa, venire giù dal fianco della montagna. Lei ricorda in particolar modo le macchine ed un carro attrezzi portati giù dalla corrente con una forza inarrestabile. Dinanzi a quella scena incredibile mia nonna è rimasta letteralmente paralizzata, pietrificata.
Col senno di poi, ringrazia di vivere e di essere rimasta al secondo piano dell’albergo, perché il pian terreno è stato totalmente devastato ed invaso dal fango: schizzi e strati di fango raggiungono le finestre del primo piano, le porte e le finestre sono tutte rotte. C’è un’auto nelle cucine, mentre quel masso enorme – proprio quello delle foto, blocca l’entrata principale dell’abitazione di mia nonna. Riuscirà ad uscire dalla porta sul retro e non con poca fatica.
Il primo pensiero, dopo aver visto quelle immagini, è l’angoscia, assieme all’immenso senso di impotenza che ci attanaglia.
Offriamo alloggio a mia nonna presso casa di mia madre che si trova nel comune di Ischia Porto, ma nonna Stefanina deciderà di rimanere a Casamicciola, in un altro albergo, assieme al suo cane, perché lei si occupa anche di una colonia felina e ci dice che non vuole abbandonare i suoi gatti ora più che mai.
Nelle ore e giorni successivi, ricevo innumerevoli messaggi e chiamate da amici che sanno che sono ischitana. Rispondo che sto bene e cerco di rassicurarli, e man mano che si fa il bilancio dei dispersi e delle vittime, c’è un passaparola tra isola e terraferma per riallacciare i contatti. Mia madre scopre che una delle vittime è la cugina di un suo amico, la mia professoressa inizia a scrivere stati su whatsapp aggiornando tutti noi sui dispersi e le vittime, raccontando aneddoti su ognuno di loro. Aneddoti e notizie tristi di amici che, anche se non sentiamo da tempo, erano persone importanti della nostra vita, persone con i quali ciascuno ha condiviso un pezzo, un ricordo, un momento della propria vita.
La rabbia e lo sconforto sono profondi e la vicinanza del Natale sembra amplificare il dolore, la solitudine. Ci domandiamo se tutto questo poteva essere evitato, ma adesso fa solo male qualsiasi ipotesi, qualsiasi congettura. Una sola cosa è certa: nonostante tutto, siamo fieri ed orgogliosi di essere isolani. E lo abbiamo visto anche nella tempestività e nella solidarietà degli interventi, tutti con i piedi nel fango, tutti a rendersi utile, nessuno è rimasto immobile. Ci stringiamo ai nostri cari, ai nostri amici: il dolore è condiviso e percorre tutta la comunità e chi non c’è più, continuerà a vivere attraverso di noi, i nostri ricordi, i nostri racconti.
Gaia Noboa De Jesus, Officina Civile
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