LA POVERTA’ SI EREDITA

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13.12.2022

I dati del Rapporto Caritas 2022 presentato ad ottobre 2022 vanno letti attentamente perché l’allarme lanciato porta alla luce la presenza di tante povertà acuite dalla pandemia, dalla crisi, dalle vicende geopolitiche. Viene fornita una fotografia di una Italia in cui povertà ed esclusione sono sempre più forti ed evidenti e la pandemia ha acuito ulteriormente queste disparità.

Il Rapporto CENSIS del dicembre 2022 mostra un Paese latente “in attesa che i segnali dei suoi sensori economici e sociali siano tradotti in uno schema di adattamento, funzionamento, mappatura della realtà e dei bisogni”.

Anche Oxfam nel maggio 2022 ha reso pubblico un rapporto con il quale ha evidenziato che le crisi che si sono succedute in questi ultimi anni e in particolar modo la pandemia e lo “shock pandemico” hanno “dispiegato i suoi effetti in modo differenziato sui settori economici, individui e gruppi sociali in ‘condizioni di partenza’ profondamente eterogenee” evidenziando un calo nel livello di occupazione nel 2020 con almeno 820.000 occupati in meno nel gennaio 2021.

Le rivelazioni ISTAT nel quarto trimestre 2021 mostrano una “ripresa congiunturale dell’occupazione (+80 mila occupati rispetto al trimestre precedente) e un contestuale calo degli inattivi”.

Nel 2021- stando ai dati- i poveri assoluti in Italia sono almeno 5,6 milioni, di cui 1,4 milioni di bambini.

Povertà che colpisce l’Italia che già prima della pandemia e prima della guerra in Ucraina presentava dati e numeri con segno negativo in termini di povertà e di esclusione sociale.

Il rapporto Caritas è stato intitolato “L’anello debole” e mette in risalto che la parte di popolazione più giovane è colpita anche dalla povertà ereditaria, cioè quella povertà che in qualche modo di “trasmette di padre in figlio” nel senso che siamo – da diversi anni – di fronte ad una forma di povertà intergenerazionale. Condizioni di povertà che “dipendono e sono collegate anche da situazioni di povertà del passato.” (Rapporto Caritas).

Il titolo dato non è casuale perché l’anello debole è quell’anello che rischia di allontanarsi dai meccanismi di solidarietà e quindi rischiano di “staccarsi dalla compagine sociale”.

Si parla di povertà ereditaria e di povertà intergenerazionale come di quelle condizioni di povertà vissute nel momento presente, ma che hanno collegamenti con condizioni di povertà del passato.

Oxfam evidenzia che le “differenze più marcate emergono guardando ai divari generazionali. I lavoratori più giovani (tra i 15 e i 34 anni di età) hanno registrato il calo occupazionale più marcato nelle prime fasi della crisi, ma hanno anche “trascinato” la crescita occupazionale – trainata dal lavoro precario, a termine – nel primo semestre del 2021[…]”.

I dati dimostrano che almeno 6 persone su 10 che si rivolgono alla Caritas chiedendo aiuto vivono in “una condizione di precarietà economica in continuità con quella vissuta dalla propria famiglia di origine” (Rapporto Caritas). I casi di povertà ereditaria sono più diffusi e marcati nelle zone insulari dell’Italia con una incidenza del quasi 66% (65,9%), a seguire la zona del Centro Italia con il 64,4%.

Oxfam e Diaconia Valdese hanno rilevato un “allarmante acuirsi delle vulnerabilità pregresse e delle condizioni di disagio economico e sociale al tempo del COVID-19

Chi si colloca nelle posizioni più svantaggiate nella scala sociale ha “scarse possibilità di accedere ai livelli superiori”. Emerge un ulteriore allargamento della forbice delle disuguaglianze “e al contempo dell’ereditarietà” e ciò è stato “efficacemente sintetizzato nelle espressioni dei ‘pavimenti appiccicosi (sticky grounds) e dei ‘soffitti appiccicosi’ (sticky cellings)”. Oggi è sempre più difficile -se nono addirittura improbabile- “per chi nasce alle vette della stratificazione sociale perdere i propri privilegi, al contrario, chi parte dalle retrovie trova sempre più irrealizzabili le sue prospettive di miglioramento” (Rapporto Caritas).

Stando ai dati le persone che vivono in uno stato di povertà economica che sono nate tra il 1966 e il 1986 provengono per lo più da nuclei familiari che hanno un livello di istruzione basso cioè solo la licenza elementare e addirittura in alcuni casi si parla anche di analfabetismo. Sono proprio i figli di coloro che hanno un livello di istruzione basso ad interrompere il percorso di studi (licenza elementare o diploma di terza media).

I dati evidenziano che più del 70% dei padri di coloro che hanno richiesto aiuto alla Caritas “risulta occupato in professioni a bassa specializzazione, in linea con i bassi livelli di istruzione ottenuti”; per le madri è elevatissima l’incidenza delle casalinghe (63,8%), anche questo dato è molto significativo, mentre tra le occupate prevalgono le basse qualifiche”.

Guardando al fronte ‘risorse economiche’, il fronte dell’immobilismo è molto alto perché almeno 6 persone su 10 hanno una continuità reddituale che “coincide con uno stato di deprivazione materiale intergenerazionale e riguarda soprattutto le donne, le persone che vivono nelle zone insulari del Paese, coloro che pur avendo fatto un salto di generazione non hanno “sperimentato particolari forme di mobilità (ascendente) nell’istruzione e nella classe professionale”.

Almeno 4 persone su 10 hanno visto un impoverimento della loro situazione rispetto alle origini (vengono individuati come poveri di prima generazione).

La Caritas, in Italia, ha spesso affrontato il tema riguardante i nuovi poveri e oggi più che mai dopo il covid e la guerra in Ucraina hanno ulteriormente compromesso un tessuto sociale già molto fragile.

Durante il 2020 e il periodo pandemico la diffusione della povertà economica è strettamente correlato all’andamento dell’economia e il numero di poveri assoluti è in forte crescita per cui la strada da percorrere è quella di pensare (e ripensare) a politiche economiche che abbiano come risultato la crescita.

A livello istituzionale urge l’adozione di misure strutturali che siano in grado di dare risposte alla parte più debole e fragile della popolazione. La “soluzione” non può essere l’eliminazione del reddito di cittadinanza, ma l’adozione di misure sul piano del lavoro creando occupazione e garantendo il ricorso a forme contrattuali che diano delle garanzie ai lavoratori in particolar modo quelli giovani, ma al contempo garantiscano a chi ha perso il lavoro di poter tornare ad essere competitivo sul mercato del lavoro.

Giulia Cavallari, Giovane Avanti!

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