Il no ai cellulari in classe

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22.12.2022

Il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha diffuso nelle scuole una circolare dove si conferma il divieto di utilizzare i telefoni in classe. “Un elemento di distrazione e una mancanza di rispetto verso i docenti” afferma il Ministro, il quale poi aggiunge che “l’interesse delle studentesse e degli studenti, che noi dobbiamo tutelare, è stare in classe per imparare, distrarsi con i cellulari non permette di seguire le lezioni in modo proficuo ed è inoltre una mancanza di rispetto verso la figura del docente, a cui è prioritario restituire autorevolezza. L’interesse comune che intendo perseguire è quello per una scuola seria, che rimetta al centro l’apprendimento e l’impegno. Una recente indagine conoscitiva della VII commissione del Senato ha anche evidenziato gli effetti dannosi che l’uso senza criterio dei dispositivi elettronici può avere su concentrazione, memoria, spirito critico dei ragazzi. La scuola deve essere il luogo dove i talenti e la creatività dei giovani si esaltano, non vengono mortificati con un abuso reiterato dei telefonini. Con la circolare, non introduciamo sanzioni disciplinari, ci richiamiamo al senso di responsabilità. Invitiamo peraltro le scuole a garantire il rispetto delle norme in vigore e a promuovere, se necessario, più stringenti integrazioni dei regolamenti e dei Patti di corresponsabilità educativa, per impedire nei fatti l’utilizzo improprio di questi dispositivi“.

Innanzitutto, andrebbe commentata l’indagine conoscitiva cui fa riferimento il Ministro, la quale indica nel digitale e negli smartphone una sorta di droga (“Niente di diverso dalla cocaina. Stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche”, Indagine conoscitiva sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento) e quindi i giovani e gli studenti come dei “drogati”, quando conosciamo l’effettiva trasversalità nell’uso di questi strumenti, ma soprattutto quando sappiamo benissimo la consapevolezza con cui i nativi digitali – che non sono altro che le nuove generazioni – utilizzano questi strumenti. Certo, se la Treccani è arrivata a introdurre il termine smombie – incrocio tra smartphone e zombie – per indicare chi passeggia concentrato solo sul proprio dispositivo ignorando la realtà circostante, è perché c’è sicuramente un problema di dipendenza da social e dispositivi. Ma a tal proposito ricordiamo, con un pizzico di polemica, che è la nostra generazione a “disintossicarsi” talvolta dai social – periodi di detox social sono sempre più diffusi – e non la generazione del “buongiornissimo”.

C’è da considerare poi, come dice il Segretario generale della Uil Scuola Rua Giuseppe D’Aprile, che “tra gli adolescenti il cellulare è spesso usato solo ed esclusivamente per scopi ludici e per collegamenti social” e a tal proposito “servirebbe una discussione più ampia non solo limitata al divieto, che dovrebbe coinvolgere l’intera comunità educante al fine di un utilizzo più consapevole di tutti i mezzi di comunicazione, a scuola, cellulare compreso”.

Non privazione ma educazione, non stigmatizzazione ma discussione.

Come non concordare poi con lo stesso D’Aprile quando dice che questo è “un provvedimento isolato, ci auguriamo che il ministro tiri fuori dai cassetti le misure urgenti che servono alla scuola”. Dal punto di vista del personale c’è da lavorare molto per il ministero, con “interventi su precariato e reclutamento, sull’organico Ata, sull’abolizione dei vincoli alla mobilità del personale docente”. Ma è dal punto di vista degli studenti, ricordiamo veri protagonisti del mondo dell’istruzione, che c’è da affrontare il lavoro più grande e incombente: riformulare un’alternanza scuola-lavoro che solo l’anno scorso è stata fatale a più studenti; modernizzare i programmi scolastici per renderli conformi alla realtà odierna, magari facendo studiare ai ragazzi la storia della seconda metà del Novecento (totalmente ignorata dai professori per mancanza di tempo, magari per far studiare ai ragazzi il Paleolitico per la terza volta in altrettanti cicli d’istruzione) o dando basi di educazione sessuale o finanziaria; pensare a come combattere i fenomeni della dispersione e abbandono scolastico; colmare il gap tra competenze richieste dal mondo del lavoro e quelle fornite dalla scuola, senza però imprimere alla scuola la sola funzione di veicolo verso il lavoro, ricordando quindi che il compito primario della scuola è formare cittadini consapevoli e responsabili; lavorare sulle difficoltà che riguardano da anni l’edilizia scolastica, con migliaia di plessi non a norma, e talvolta persino a rischio crollo.

In poche parole, caro Ministro, ha cominciato dall’ultima cosa. Nonostante sia corretta la misura di non utilizzare i telefoni in classe, sia per questioni di apprendimento che di rispetto verso i docenti, le priorità sono altre e non è certo benaltrismo questo. Si tratta solo di elencare una lista di problemi e dar loro la corretta collocazione nella lista di priorità. A parer mio, i telefoni in classe non possono venir prima di tutte le questioni appena elencate.

Riccardo Imperiosi, Direttore Giovane Avanti!

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