Il duro mestiere dello studente

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17.11.2021

La giornata internazionale dello studente ricorre anche quest’anno portando nuovamente sotto i riflettori un tema che è essenziale per tutti i paesi del mondo: il diritto allo studio.

Essere studenti è un mestiere a tempo pieno che investe un lungo periodo della vita. Quello in cui si è ancora giovani e il tempo è la risorsa più grande da poter dedicare a sé stessi. Alla formazione della propria identità e alla coltivazione del proprio futuro da cittadine e cittadini del mondo.

La ricorrenza nasce dall’eccidio nazista di studenti e docenti cecoslovacchi che si sono opposti alla guerra nazista. Gli anni passano, ma gli insegnamenti della storia restano lì, accesi, per ricordare eventi storici ma anche per dipanarne gli insegnamenti  nella grande e complessa matassa dell’attualità.

Sempre più studenti e organizzazioni studentesche di tutto il mondo sfruttano questa data per fare il punto della situazione e l’Italia non è da meno.

Sono già in calendario diverse manifestazioni studentesche che ripoteranno al centro dell’attenzioni temi fondamentali. Ancor più in un momento storico in cui è dalla scuola che bisogna ripartire per ricostruire il paese dopo il terremoto della pandemia.

Se i giovani sono il cuore del futuro, è ingiusto e miope non occuparsi veramente e con impegno del ruolo che gli studenti giocano nella società.  

Il mondo adulto, si sa, dialoga male con un micro-universo bollato dalla crisi adolescenziali. Spesso allo studente si attribuisce il solo dovere dello studio, dimenticando di ascoltare la loro voce. Eppure è dai giovani e dagli studenti che prende forma il futuro e la responsabilità adulta è enorme.

Già solo il fatto di non prestare particolare attenzione a stili, mode, linguaggi, culture, turbamenti interiori, attivismi è sintomo di qualche che non funziona.

I problemi sono tanti.

La pandemia ha mostrato le corde del sistema scolastico e continua a farlo anche ora, in piena quarta ondata. DaD, digital divide, abbandono e dispersione scolastica, disorientamento, disagio psicologico sono solo alcuni dei nodi venuti al pettine. Oltre alle annose questioni che attanagliano il sistema scolastico, come la mancanza di investimenti seri nell’istruzione, piani di studio arenati a una vecchia concezione del mondo circostante, edilizia scolastica in crisi.

Nei mesi di lockdown e nei successivi anni ormai di pandemia, la DaD ha generato una spinta di cambiamento. Spinta alla quale, però, si era impreparati. Ed è per questo che il 76,3% dei diplomati, secondo uno studio di AlmaDiploma, ha ritenuto la DaD dispersiva e poco efficace. L’apprendimento non è migliorato, anzi, ha generato la necessità di impiegare maggior tempo nello studio senza risultati ottimali.

L’impatto del lockdown sui giovani e sugli studenti si è fatto sentire anche a livello psicologico. Tantissimi studenti hanno sofferto di burnout, depressione, ansia. Tanto da suggerire la presenza costante a scuola di un supporto psicologico. Un supporto utile per affrontare i cambiamenti della società che inevitabilmente si riversano sui più giovani, con personalità ancora fragili perché in costruzione. La DaD, oltre alla sua dimensione più didattica, porta con sé numerose riflessioni a livello globale sulla presenza e pervasività ormai definitiva della tecnologia nella vita quotidiana.

La scuola è rimasta ancora un fortino del contatto umano, una palestra di vita che si alimenta non solo di nozionismo ma di dinamiche che lo schermo non ha saputo mediare nel modo migliore. Sì all’innovazione tecnologica quindi, ma con intelligenza e mediazione. Senza perdere l’umanità e il contatto diretto.

Sempre l’analisi di AlmaDiploma ha segnalato un altro dato che necessita di essere letto con attenzione: la sostanziale sfiducia dei giovani diplomati, il 63%, sulle opportunità occupazionali post pandemia a causa del peggioramento della crisi economica. Il tema dello scollamento tra percorsi di studi e attività produttiva è di lungo corso. Se ne parla da tantissimi anni. Questi dati, però, pongono davanti a una riflessione che va ancora più in profondità. Quando a preoccuparsi di questo non sono più gli adulti, ma gli stessi giovani, il rischio è che si disperda il più grande e prezioso valore di un’intera generazione: la voglia di futuro.

Dialogo continuo, risposte concrete, certezze e fiducia, vera. Parole profonde che devono tradursi in investimenti a tutto tondo per ricomporre una generazione che ha subìto dei colpi inaspettati, reagendo sì, ma con tutto il pacchetto di fragilità che l’età comporta.

Sta al mondo adulto, alle Istituzioni, alle organizzazioni sociali come il sindacato saper trovare parole, modi e soluzioni per i problemi di chi oggi, da studente, getta le basi per il futuro delle società.

 

E tu cosa ne pensi? Parliamone insieme nella community di TERZO MILLENNIO.

 

Redazione

 

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