#Hashtagday: Storia e contraddizioni di un fedele compagno di viaggio nell’era social

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23.08.2022

#Hashtagday. Ebbene sì, anche il celeberrimo cancelletto twitteriano ha una sua giornata internazionale e, ovviamente, un proprio hashtag. Ma come sono nati? Qualcuno di noi forse li ricorda anche un bel po’ prima di Twitter, ma vediamolo insieme.

#lastoria

Correva il lontano 2007 – ormai quindici anni fa – quando Chris Messina su Twitter suggerì di usare il cancelletto (#) nelle conversazioni tra più persone: da lì in poi il mondo dei social sarebbe cambiato per sempre, soprattutto quello di Twitter e Instagram. Perché? Perché solo su Twitter si arriva a quella che è l’attuale funzione dell’hashtag, ovvero quella di catalogare sotto un’unica parola tutti gli argomenti della discussione inerente, semplificando non poco le ricerche e la viralità di un determinato trend – se vogliamo possiamo attribuire a questo la nascita delle tendenze a breve termine, tanto virali quanto volatili non appena una nuova tendenza riesce ad essere più virale. Ed infatti risale al 2010 l’introduzione dei trending topics, argomenti particolarmente discussi, sul social del canarino blu. Vedremo più avanti perché sono così importanti.

Ma l’uso dell’hashtag, non nella sua forma odierna, non arriva con Twitter. In tanti lo ricorderanno già alla fine degli anni ‘80 per formare le “stanze” di discussione (chat rooms) su Internet Relay Chat (IRC), l’antenato delle moderne chat.

#quantovieneusato

I numeri sono vertiginosi ed esprimono pienamente la popolarità di questo strumento: solo a giugno 2021 – solo sei mesi! – sono stati scritti 12 miliardi e mezzo di tweet contenenti almeno un hashtag, di questi 140 milioni sono unici. Di questi numeri sono responsabili soprattutto i trending topics, che ormai sono legati indissolubilmente al mondo dell’informazione. Essi, infatti, racchiudendo sotto un’unica parola tutti i tweet legati ad un argomento e mettendo in primo piano quelli più virali, che di solito sono degli account più seguiti, rappresentano una sorta di contenitore di tutte le notizie legate ad un certo argomento. Potrebbe essere uno strumento eccezionale, se non fosse per il disgustoso modo in cui viene spesso usato: disinformazione e manipolazione.

#fakenews

Primo punto: sui social non ci sono solo esseri umani. Secondo punto: non tutto quello che c’è scritto sui social è la verità assoluta. Terzo punto: tutto quel che trovi sui social nella tua bacheca è lì per degli algoritmi, significa che esiste molto molto altro! Perché ripeto tre cose che tutti noi giovani sappiamo bene? Perché è per questi tre punti che la disinformazione va diffondendosi sempre di più: la nostra percezione è alterata, anche per via dei cosiddetti bot.

Cosa sono? Sono programmi che consentono al computer – ovviamente dietro programmazione – di relazionarsi automaticamente con gli esseri umani sui social. Un po’ più complessi sono i cyborg, ovvero account reali, ma gestiti da bot.

#disinformazione

I social bot sono responsabili della più grande opera di mistificazione della realtà e di disinformazione delle masse mai avvenuta: pubblicità occulta, creazione di notizie false sulla base degli argomenti maggiormente di attualità (ricordate i trending topics?) e diffusione di creative teorie complottiste fondate su “studi scientifici” tanto dubbi quanto paradossalmente efficaci sono ormai all’ordine del giorno. A farne le spese sono i più vulnerabili, bambini e anziani, ma anche persone di mezza età.

Proprio qui gli hashtag giocano un ruolo fondamentale: aumentando la concentrazione di notizie false sotto una certa parola si va ad aumentare la viralità della discussione. Aumentando la viralità aumenta il “bacino d’utenza” dalla quale prendere voti o militanti per una determinata battaglia. Non ci crederanno tutti, ma quelli che lo faranno saranno sempre troppi.

Gli hashtag sono ormai diventati degli insostituibili compagni di viaggio nella nostra vita social, ma bisogna fare attenzione a carpire le infinite possibilità di questo strumento e, eventualmente, a limitarle per far sì che a farne le spese non sia addirittura l’organizzazione della società in cui viviamo.

#riccardoimperiosi, Giovane avanti

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