Giovanni Falcone e la sua eredità ai giovani
19.06.2022
10 febbraio 1986. Inizia il maxiprocesso a Cosa Nostra, Giovanni Falcone – insieme al resto del pool antimafia – riesce a portare in aula centinaia di mafiosi. Dopo il processo Falcone non era solo il giudice più famoso del mondo, ma molto di più: un uomo probo, ligio al dovere e all’etica della professione. Senso del dovere mazziniano e dell’abnegazione weberiano, fa della professione una missione e cerca di portarla a termine nel massimo rispetto dell’etica della stessa. Minuzioso e rigoroso, non accusava mai senza un riscontro delle testimonianze o delle prove, insomma andava sempre oltre ogni ragionevole dubbio. Un vero fautore di quella giustizia giusta, o più propriamente etica, che ancora andiamo cercando in questo paese.
23 maggio 1992, poco più di trent’anni fa. Giovanni Falcone lascia questa terra dilaniato dall’asfalto dell’A29 che lo investì, sospinto dalla potenza dei quintali di tritolo che Cosa Nostra aveva piazzato proprio lì sotto.
Quel giorno se ne andarono il corpo di Falcone e i suoi detrattori (politici e non) di colpo divennero ammiratori, come se non fosse stato rifiutato, dileggiato, calunniato, isolato e accusato da tutti coloro che avrebbero dovuto invece difenderlo come si difende la cosa più preziosa che si possiede. Ma non se ne andò la cosa più importante, che ancora oggi lo rende il magistrato più famoso e ammirato d’Italia: il suo esempio, dato dal suo rigoroso e rispettoso metodo di lavoro, dalla sua lotta contro Cosa Nostra, dal suo amore per le giuste cause, dalla sua abnegazione anche di fronte alle più grandi difficoltà.
Che il Paese non fosse pronto ad accogliere la sua eredità lo abbiamo e lo ha visto anche lui: sono troppi gli episodi che hanno visto la magistratura, anche e soprattutto il CSM, il mondo dell’informazione e lo Stato in generale scagliarsi contro il magistrato siciliano, come se fosse il primo dei mafiosi. Lui lo mise in carcere il primo dei mafiosi. E anche quando andò a dirigere la sezione Affari Penali al Ministero di Grazia e giustizia proseguì, insieme all’allora Ministro Claudio Martelli, la sua missione contro Cosa Nostra.
Il Paese, però, non è pronto neanche adesso. Anzi, paradossalmente lo è meno di allora. In Italia ormai si è stabilizzato il fenomeno giustizialista, la straordinaria attenzione allo scandalismo e lo strapotere del correntismo nella magistratura: la stabilizzazione, quindi la normalizzazione, di un fenomeno negativo è di gran lunga peggiore della sua sfuriata iniziale. Lo abbiamo visto nell’ultima tornata referendaria, in cui peraltro uno dei quesiti era proprio la separazione delle carriere tra PM e giudici tanto cara a Falcone. In cui, infine, non è stato ammesso quel quesito che nel 1987 fu votato dall’ottanta percento degli italiani che andarono a votare, la responsabilità civile dei magistrati.
Domani parteciperemo alla presentazione del libro di Claudio Martelli, un protagonista indiscusso di quella stagione. Nel suo libro “Vita e persecuzione di Giovanni Falcone” racconta da una prospettiva unica l’uomo Giovanni Falcone e il fatale contesto che lo circondava, tutti i detrattori che di colpo divennero ammiratori, tutti i tentativi di screditare un uomo che ha lottato per anni il cancro di questo paese.
“La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del khomeinismo”.
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