FELICITA’: DALLA FILOSOFIA ALLA RELIGIONE, PASSANDO PER LA SCIENZA E LA GIURISPRUDENZA, DA SEMPRE L’UOMO HA CERCATO IL “DIRITTO ALLA FELICITA’”.
25.01.2023
Filosofi, scienziati e artisti da sempre si sono interrogati sulla felicità e sulla sua essenza. Sono state proposte un’infinità di idee e di visioni tutte valide, ma non complete per descrivere ontologicamente la felicità, poiché ognuno ha dato una risposta soggettiva.
Tutte le grandi religioni scindono la felicità in quella procurata dalle cose materiali, definendola come piacere, e in quella spirituale, raggiungibile con la preghiera, la meditazione e la consapevolezza dell’effimero, il tutto per raggiungere la serenità dell’anima.
Fino al V sec. a.C. si credeva che la vera felicità fosse irraggiungibile per gli uomini perché riservata solo agli dei. Socrate fu il primo a fornire una visione di felicità sociale. Per lui la felicità consisteva nel comportarsi secondo virtù: se ogni cittadino svolge il proprio compito si raggiunge la giustizia e l’armonia dello Stato, l’unica capace di soddisfare tutte le necessità dell’individuo.
Durante l’Impero Romano il dibattito fu tra chi identificava la felicità nell’edonismo, cioè nei piaceri fisici, intensi e attuali, e chi come gli stoici vedevano nell’atarassia, intesa come imperturbabilità da fattori esterni ed emancipazione da impulsi e passioni, l’unica via per la serenità considerata la vera felicità. Con l’imporsi del Cristianesimo, ogni riflessione sulla felicità fu ricondotta alla morale religiosa che consigliava una vita povera, semplice e rispettosa dei dettami cristiani per raggiungere la felicità nella vita eterna dopo la morte.
Kant nella Critica della ragion pratica, confermò il carattere soggettivo della felicità: “Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo, ma ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona”.
Dal ‘900 in poi la medicina si è interessata ad analizzare la felicità: negli ultimi decenni le neuroscienze sono riuscite a far combaciare tra loro le ricerche fisiologiche, chimiche ed endocrinologiche dello scorso secolo. La biochimica identifica la felicità in un cocktail di sostanze, ormoni e neurotrasmettitori che il cervello produce in risposta a determinati stimoli. Nello specifico, i neurotrasmettitori coinvolti sono la serotonina che regola l’umore e il sonno, la dopamina che regola gli istinti primari, l’ossitocina detta anche l’ormone dell’amore, infine le endorfine, sostanze prodotte dal cervello simili agli oppioidi per composizione chimica ed effetti euforici.
Recenti studi hanno confermato come la felicità sia una caratteristica del corredo genetico e perciò ereditabile. Da tale dato si comprende perché ci sono persone per natura più predisposte di altre a essere felici, ciò staticamente è definito il secondo paradosso della felicità: più si è intelligenti e si ha la capacità di analizzare le vicende e meno si è felici. Poco prima che questi studi fossero pubblicati, fu realizzato un episodio dei Simpson davvero emblematico. Nel cartone intitolato “Cosa c’è nel cervello di Homer” si scopre che Homer è intelligentissimo, ma da bambino si è infilato un pastello nel naso che fermandosi nel cervello lo ha reso idiota. Levatogli il pastello diventa il genio che era destinato ad essere, ma proprio questa sua capacità di riflettere lo porta a comprendere che tutta la sua intelligenza gli fa vedere la triste e brutta realtà delle cose, così da persona saggia e riflessiva sceglie di farsi rimettere il pennarello nel naso per tornare idiota e felice.
Il primo paradosso della felicita è come sia inversamente proporzionata alla ricchezza, infatti, in base ad analisi statistiche le persone più contente e soddisfatte sono quelle con un patrimonio medio, né eccessivamente basso né eccessivamente alto, mentre è registrato un alto tasso di insoddisfazione e scontentezza tra coloro che hanno un patrimonio superiore al miliardo.
Ad oggi la definizione accettabile della felicità è quella che la specifica come “quello stato psicofisico durante il quale non si vorrebbe essere in nessun’altro stato psicofisico”.
Preso atto che un concetto di felicità oggettivo non esiste, il nostro ordinamento giuridico non riconosce il diritto alla felicità, mentre altri ordinamenti lo hanno riconosciuto. In particolare, la Dichiarazione di indipendenza americana del 1776 prevede che “tutti gli uomini sono creati eguali; essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità … ogni qualvolta una forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo… meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità.” Pare che Benjamin Franklin inviò la bozza della Dichiarazione d’indipendenza al filosofo napoletano Gaetano Filangieri che sostituì l’espressione proposta del “diritto alla proprietà” con quella, poi accolta, del “diritto alla felicità”. Quindi, la paternità del diritto alla felicità è di un giurista napoletano. Il diritto alla felicità proposto nella dichiarazione di indipendenza è un diritto “aperto” che ricomprende di volta in volta svariate facoltà e libertà utili all’individuo a ricercare la sua idea di felicità.
Recentemente il dibattito politico sulla necessità di introdurre a livello europeo una forma di diritto alla felicità è molto acceso. In Francia è stata elaborata una visione pubblica di felicità, considerata come benessere garantito dallo stato. Addirittura, è stata costituita una commissione di esperti per valutare il “PIL del benessere”.
In Italia nel 2021 è stata presentata alla Camera dei Deputati una proposta di legge costituzionale per integrare nell’articolo 3 della Costituzione il diritto alla felicità. Tale proposta è stata rigettata perché sia la dottrina che la giurisprudenza hanno più volte ribadito che i primi dodici articoli della Costituzione sono assolutamente immodificabili in quanto contengono i principi fondamentali dell’ordinamento. La mancata costituzionalizzazione della felicità non deve portare a ritenere che il diritto italiano si disinteressi di tale elemento, anzi, da un’analisi attenta del testo costituzionale e delle evoluzioni giurisprudenziali si comprende come l’intero ordinamento sia costantemente volto a migliorare la vita dei cittadini garantendo non la felicità, ma tutti quegli elementi indispensabili per rendere un cittadino felice.
I primi 54 articoli della Costituzione stabiliscono i principi fondamentali dello Stato e i diritti e i doveri dei cittadini e analizzando questi articoli si nota che pur non menzionando mai direttamente la felicità, nel loro insieme e con la loro reale applicazione, garantiscono quei diritti che rappresentano le basi e i presupposti minimi per la felicità individuale, come il diritto alla libertà, alla salute, a riunirsi pacificamente, a manifestare il proprio pensiero.
Anche la giurisprudenza sta interpretando le norme esistenti considerando la persona come tale e non come uno dei tanti membri della collettività, mirando perciò al benessere del singolo individuo. A riguardo orientamenti giurisprudenziali e dottrinali esemplari si registrano in ogni settore del diritto. Ad esempio, in ambito penale la funzione della pena non è più intesa in ottica punitiva ma rieducativa, allo stesso modo nel diritto civile ogni forma di risarcimento danni è volta unicamente a ristorare la vittima del danno in modo completo e perde qualsiasi scopo sanzionatorio nei confronti del danneggiante. In ambito familiare si è passati da una potestà genitoriale a una responsabilità genitoriale mettendo così in primo piano l’educazione e le necessità dei figli. Sempre nel diritto di famiglia le innovazioni apportate dalla Legge Cirinnà hanno previsto le unioni civili quali forme alternative al matrimonio per costituire un nucleo familiare. Fondamentali sono stati anche i riconoscimenti di posizioni soggettive nei confronti del nascituro, primo di tutti il diritto a nascere e il diritto a nascere sano, ancora importante è la negazione del diritto a non nascere se non sano. Sempre relativamente alla sfera personale importante è il riconoscimento della risarcibilità del danno non patrimoniale, inteso come una sofferenza psichica e peggioramento nella sfera dinamico relazionale dell’individuo. È importante anche il riconoscimento al risarcimento da lesione di un interesse legittimo arrecato da una pubblica amministrazione. Un interesse legittimo è una situazione soggettiva identificabile in una mera aspettativa, e per essere realizzato necessita di un intervento dell’amministrazione; perciò, si differenzia dai diritti soggettivi che sono già pieni e assoluti. Ciò mostra come recentemente il rapporto tra amministrazione e cittadini sia inteso in modo più “paritario”, abbandonando quella concezione che affermava la supremazia dello Stato e delle sue diramazioni nei confronti dei cittadini. Ancora, si può citare come in ambito contrattuale la causa del contratto, quale elemento essenziale, sia passata da una funzione economica sociale ad un interesse economico individuale volto a concretizzare l’interesse per cui le parti si sono accordate.
Potrebbero essere elencati molti altri esempi di come la dottrina e la giurisprudenza stiano interpretando leggi e istituti avendo come obiettivo il benessere degli individui e della società. Si potrebbe anche affermare che l’intero diritto non è più volto solo a garantire sicurezza, ma tende a rendere concreti tutti quegli elementi indispensabili per la felicità personale perché suoi presupposti e sfaccettature. In conclusione, la legge, almeno sulla carta, mette a disposizione tanti elementi per una vita felice, poi sta ai singoli riconoscere i propri momenti di felicità e viverli a pieno e con consapevolezza, e non valutarli tali a posteriori trovandosi nella triste condizione di dire “eravamo felici e non lo sapevamo”.
Francesco Lamonea, Officina Civile
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