Giovani, vita e lavoro: un cambio di paradigma?
06.02.2025
Possiamo tranquillamente affermare che è in atto un cambiamento generale delle società occidentali – ci risparmiamo in questo articolo nel dare giudizi di merito e ne tantomeno morali – e questo cambiamento sta coinvolgendo anche il mondo del lavoro.
Senza la presunzione di voler analizzare nel dettaglio i vari macro-cambiamenti, vorremmo soffermarci su come le nuove generazioni, che si stanno approcciando al mondo del lavoro o che ne fanno parte da poco tempo, stanno, magari inconsapevolmente, incidendo su questo cambiamento.
Dichiarando fin da subito che, dal nostro punto di vista, i cambi di paradigma che analizzeremo possono essere più un’opportunità che un ostacolo per la nostra società e, in particolar modo, per l’azione sindacale.
Il cambio di paradigma
C’è un nuovo orientamento, un nuovo approccio al mondo del lavoro da parte dei giovani che è oggetto di studio anche da sociologi nonché dagli psicologi.
In generale, pur con tutti i distinguo del caso, in quanto non possiamo pensare alla popolazione giovanile come una massa uniforme ma più come ad un modo diversificato, il valore del lavoro così come è stato concepito quantomeno, senza spingerci troppo lontano, dalla nascita della nostra Repubblica, sta mutando.
Se per le generazioni antecedenti la z e la alpha, ma inseriremmo anche la Y – se non altro per coinvolgimento personale – la mansione svolta creava la base dell’identità con la quale si riceveva anche il riconoscimento identitario da parte degli altri e quindi risultava essere quasi il fulcro della propria esistenza, il lavoro visto quindi come una priorità sulla quale programmare attorno la propria vita, ora, per giovani e giovanissimi la questione è cambiata.
La professione, quindi, muta il suo valore, da fondamentale a parte, si importante, ma non più centro sul quale costruire il proprio contorno sociale, il proprio tempo.
È proprio il tempo di conciliazione vita-lavoro che diventa un tema principale a cui i giovani stanno prestando una maggiore attenzione. L’indisponibilità a sacrificare per l’attività lavorativa i propri interessi, le proprie relazioni sociali, sta generando alcuni “cortocircuiti” (almeno dal punto di vista delle aziende) in un processo, come dicevamo in premessa, al centro di un cambiamento.
Quindi, i dati sull’aumento generale delle dimissioni, le lamentele da parte delle imprese sulla incapacità di trovare forza lavoro, la perdita del valore del posto fisso sono tutte questioni che derivano anche dal mutamento da parte delle nuove generazioni di concepire il lavoro ma, in senso più ampio, la propria vita. Tanto più se la trasformazione del lavoro, interessata da processi come quello della digitalizzazione o della flessibilizzazione, ridisegna il confine tra lavoro e vita.
Le sfide del sindacato
È necessario quindi, per il sindacato, comprende come stanno cambiando le regole del gioco che, se passano attraverso una richiesta di stare meglio dentro e fuori dal luogo del lavoro, non possono che essere elementi a favore della nostra azione che si prefigge, in quanto riformisti, di raggiungere passo dopo passo un mondo del lavoro più giusto e una società equa.
La possibilità di avere una nuova massa pronta a confrontarsi con chi da sempre reclama condizioni migliori all’interno delle aziende, che tenga conto non più solo del lavoratore in quanto soggetto occupato ma come persona, non può che essere un’arma segreta per un sindacato come la UIL, che della tutela delle persone, con grande attenzione proprio ai giovani, sta facendo da qualche anno il suo trade-mark.
Tenere monitorati questi processi, che potrebbero anche cambiare direzione, capire come canalizzare queste richieste dando le giuste risposte, è la sfida che il sindacato deve vincere. Se ne saremo capaci, e sono le nuove generazioni stesse a farci credere che lo saremo, riusciremo ad incidere, ancora una volta, sulla creazione di una società che garantirà nuovi modelli più equilibrati e al contempo più sostenibili.
Federico Cuzzolin, Uil Veneto
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