L’Università che non funziona: Sempre più abbandoni e sempre meno laureati negli atenei italiani

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26.05.2023

L’Università che cola a picco. Sì, perché sembrerebbe che, tra un caro affitti per gli studenti fuorisede ormai fuori controllo, dati nefasti sull’abbandono dell’Università e un mercato del lavoro iniquo – in certi settori persino saturo – all’uscita dalla formazione, il mondo universitario non riesca più a rispondere efficacemente non solo alle necessità degli studenti, ma alle necessità di una società che va evolvendosi sempre più rapidamente. Il rischio è enorme: l’anacronismo, dal quale può derivare un rifiuto sociale, di quello che è sempre stato uno dei motori fondamentali dell’ascensore sociale.

Sempre più abbandoni delle Università

Sono di questi giorni i dati – del Ministero, ma pubblicati da Repubblica – che vedono alzarsi vertiginosamente il dato sugli abbandoni universitari precoci rispetto al periodo pre-pandemico: nell’anno accademico 2021-2022 gli studenti ad aver abbandonato gli studi sono il 7,3% del totale (7,4% maschi e 7,2% donne) rispetto al 6,1% degli abbandoni segnalati dagli atenei nell’anno 2019-2020. 

Un dato che allontana sempre più il nostro Paese dall’obiettivo imposto dall’Unione Europea del 40% dei cittadini tra i 25 e i 64 anni laureati, peraltro già difficile da raggiungere: l’Italia (circa 20%, uno su cinque) non è fanalino di coda europeo in questa speciale classifica solo perché la Romania fa peggio di noi (18%), rimanendo molto lontana anche da Spagna e Francia (40%).

Il fenomeno

Il primo dato importante che salta all’occhio è che l’abbandono delle matricole al primo anno è definitivo, non hanno cambiato facoltà. Quindi non si tratta di aver sbagliato indirizzo, ma di aver intrapreso il percorso universitario per poi pentirsi. Un problema di orientamento che è sì radicato e presente già da tempo, ma che si è notevolmente acuito nel periodo pandemico, con gli studenti che non hanno avuto l’opportunità di partecipare ai vari open day o alle giornate di orientamento.

Ma, secondo l’UDU, non si tratta solo di questo: ad esempio in molte regioni italiane, se uno studente al primo anno decide di cambiare corso di studio, non potrà più avere la borsa di studio per gli anni successivi. Inoltre, c’è da considerare costi universitari esorbitanti – e non stiamo parlando di fuorisede, lì l’aggettivo corretto è “astronomici” – e un’ansia, una pressione scolastica dettata dalla società a mille all’ora di oggi che demotiva i ragazzi e le ragazze ancor prima di iniziare, o proprio all’inizio del percorso.

Ecco, proviamo a considerare tutti questi dati e ad aggiungere che non c’è differenza lavorativa tra un diplomato e un laureato con la triennale. Si parla di una RAL (nel 2021) di 29.496 euro per i primi e di 30.195 per i secondi. Una differenza inesistente. Inoltre, persiste il problema della saturazione del mercato del lavoro in tantissimi settori. 

Le materie scientifiche sempre più bistrattate

A patire di più questo fenomeno sono soprattutto le materie scientifiche, sempre più penalizzate dalle scelte degli studenti: ad esempio il report degli studenti “Chiedimi come sto” individua nel 34,8% degli studenti di facoltà scientifico-tecnologico la volontà di abbandonare gli studi. Praticamente uno su tre. 

Ricordiamo che già di per sé le materie scientifiche, le cosiddette STEM, erano in forte sofferenza: secondo l’osservatorio  “Rethink Ste(a)m education – A sustainable future through scientific, tech and humanistic skills” – promosso da Fondazione Deloitte e dal Programma di politiche pubbliche di Deloitte – la media dei laureati STEM nei Paesi dell’Europa centrale e mediterranea (Italia, Germania, Francia, Spagna, Regno Unito, Grecia e Malta) è del 26%, mentre l’Italia arriva al 24,5%, un punto percentuale e mezzo sotto la media. Solo la Germania fa meglio della media – e di tanto – arrivando al 36,8% e confermandosi come punto di riferimento nell’innovazione in campo tecnico-scientifico-industriale.

Insomma, spesso per i giovani non vale proprio la pena di tentare un percorso di studi che rallenterà il loro ingresso nel mondo del lavoro per non offrirgli neanche uno stipendio dignitoso e sicuro. Anzi, spesso all’uscita del percorso universitario ad aspettare i ragazzi ci sono percorsi di tirocinio o praticantato che aumentano il precariato, l’insicurezza e l’insoddisfazione. 

Riccardo Imperiosi, Direttore Giovane Avanti!

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