Rialzo dei tassi? Un’altra via è possibile.

4' di lettura
Mi piace!
0%
Sono perplesso
0%
È triste
0%
Mi fa arrabbiare
0%
È fantastico!!!
0%

09.08.2023

L’inflazione è un problema globale. Ma per chi ha fatto della stabilità dei prezzi un principio costituzionale, forse lo è ancora di più. Infatti, l’articolo 119 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea ha messo nero su bianco che a Bruxelles spetta “la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi”.

Un comma che porta la firma invisibile della cultura economica tedesca. Non a caso, la stessa Banca Centrale Europea è fedele a un indirizzo antinflattivo e rigorista molto caro alla Bundesbank.

E anche oggi non ci rinuncia.

Rialzo dei tassi di interesse: meglio fermarsi? 

Scoppiata la pandemia e rincarata la dose di disgrazie con la guerra, l’economia mondiale è entrata in cortocircuito. Proprio quando lo shock del lockdown sembrava prossimo a risolversi, l’invasione in Ucraina ha compromesso la ripresa. Produzione e consumi sono tornati in squilibrio e, in questo concitato saliscendi, l’inflazione è esplosa. Francoforte ha risposto come prevedibile: con il rialzo dei tassi di interesse. Una scelta restrittiva, perfettamente in linea con la teoria ortodossa per cui se ci sono troppi soldi che inseguono troppi pochi beni, bisogna aumentare il costo del denaro. Scoraggiando l’accesso al credito, si fa circolare meno valuta e l’inflazione scende. L’antidoto però non è privo di controindicazioni. Se prendere un prestito è più oneroso, per le aziende è più difficile fare investimenti e per le famiglie lo è pagare un mutuo o un’auto.  

Il loro potere di acquisto si contrae e il rischio di recessione è dietro l’angolo. Per questo, molti economisti mettono in allerta la BCE. A loro avviso è arrivato il momento di fermarsi. Ma Francoforte va in un’altra direzione. Già dopo l’ottavo rialzo in un anno deciso per fine luglio, Christine Lagarde non ha escluso ulteriori aumenti a settembre.

Un’altra politica è possibile?

Ovviamente, questi rialzi non saranno ben accetti neanche da chi sostiene che sono addirittura inefficaci. Secondo questa corrente di pensiero la vera causa dell’inflazione non è l’accelerazione di domanda e offerta del mercato, seguita alla fine dell’emergenza covid, ma fattori esogeni quali la guerra e l’impennata del costo del gas. Non dobbiamo dimenticare, poi, che la BCE in primis ha riconosciuto l’influenza sull’aumento dei prezzi degli enormi extraprofitti di grandi multinazionali, Big pharma o gruppi bancari per cui, sicuramente, non c’è stata alcuna crisi.  

Dunque, sembra palesarsi il pericolo dell’applicazione di vecchie regole macroeconomiche in un contesto che è tutt’altro che da manuale. Serve un cambio di rotta e nuovi approcci teorici, anche su più frangenti. A confermarlo è uno studio del 2022 del Fondo Monetario Internazionale che, ad esempio, smentisce la correlazione tra aumento dei salari nominali e spirale inflattiva. Il team di ricerca, infatti, ha creato un data base di quelle che sono considerate passate spirali salari-prezzi, dagli anni ’60 ad oggi. E – stupirà i più – solo in una “piccola minoranza” di episodi è stata registrata una “sostenuta accelerazione dei salari e dei prezzi”. Nella maggioranza dei casi, invece, prezzi e salari nominali si sono progressivamente stabilizzati, senza innescare nessun circolo vizioso. Sulla stessa lunghezza d’onda si sono collocate perfino le dichiarazioni del Governatore della Banca d’Italia, al Warwick Economic Summit di Londra. 

Ripensare le regole del gioco

È un altro input che dovrebbe indurre a discutere nuove strategie, adeguate alle problematiche economiche contingenti. A riguardo, il fronte keynesiano reclama a gran voce una politica di bilancio più coraggiosa, che non lasci l’esclusiva alla discrezione delle banche centrali. Perché come spiega Olivier Blanchard – uno dei principali economisti al mondo ed ex Direttore FMI – l’inflazione è anche una questione politica e sociale. Il primo passo dovrebbe essere un’azione di redistribuzione della ricchezza attraverso la tassazione degli extra-profitti e l’abbandono di logiche di austerità. Serve sostenere la classe medio-bassa dal caro-vita e avviare una nuova politica salariale. 

Insieme al Sindacato Europeo, la UIL condivide queste posizioni. E dovrebbero fare lo stesso i decisori europei che chiedono più investimenti che oggi sono ostacolati dalle restrizioni sull’accesso al credito. 

Pareggi di bilancio e altri principi della teoria classica hanno fatto il loro tempo. Per uscire dalla crisi, occorrono logiche “espansive” e non “conservative”. Se si seguirà la strada degli aumenti salariali, ne trarrà giovamento tutta l’economia. È arrivato il momento di ripensare le regole del gioco per un sistema più sostenibile, inclusivo ed efficiente. 

Articoli Correlati