Il Recovery plan for Europe e il nuovo paradigma solidaristico europeo. Importante non tornare indietro

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17.12.2023

In risposta a una crisi senza precedenti come quella causata dal coronavirus, la Commissione europea propose lo strumento temporaneo per la ripresa: il NextGenerationEU/Recovery Plan for EU, insieme a un rafforzamento del bilancio dell’UE per il periodo 2021-2027.

La decisione fu presa il 27 maggio 2020, mentre il 21 luglio successivo i Capi di Stato o di governo dell’UE raggiunsero un accordo politico sul pacchetto di interventi.

L’adozione definitiva da parte del Consiglio avvenne il 17 dicembre 2020: una data che rimane storica non solo perché si stanziarono risorse davvero ingenti per la ripresa post pandemica, ma rappresentò anche un cambio di passo sostanziale rispetto al concetto di solidarietà nell’ordinamento europeo.

Dalle fallimentari politiche di austerità alla solidarietà 

Molti osservatori hanno evidenziato come queste misure di politica economica adottate dalle istituzioni e dagli Stati membri, siano state un vero punto di svolta all’interno del processo di integrazione. Il motivo risiede in un nuovo e importante ribilanciamento tra “la componente economica e quella monetaria dell’UEM (Unione economica e monetaria ndr)”. Infatti, se il Trattato di Maastricht ha avuto un ruolo fondamentale per il processo di integrazione proprio con la creazione dell’UEM, è altrettanto vero come questa costruzione mostrasse delle evidenti asimmetricità, con uno spazio lasciato alla solidarietà piuttosto ridotto. Basti qui ricordare la nota “no bail-out clause” (art. 125 TFUE), secondo la quale sia l’Unione che gli Stati membri non possono farsi carico degli impegni economici assunti da enti o imprese pubblici o da organismi di diritto pubblico, se non con alcune eccezioni.

Quanto questa clausola sia stata interpretata in modo stringente, lo abbiamo potuto vedere durante la crisi economico-finanziaria de 2007/2008, in cui a dominare fu il paradigma dell’austerità. Li, gli obiettivi primari erano la salvaguardia della moneta unica e la stabilità finanziaria: da qui nasce la rigorosa condizionalità con cui furono erogati finanziamenti ai Paesi in difficoltà, a “chiesero” interventi di riforma che troppo spesso hanno modificato in peggio la tenuta sociale complessiva.

Una prima “federalizzazione” dei taxing and spending powers a livello sovranazionale

Le politiche economiche adottate in risposta alla pandemia hanno invece cominciato a creare una prima “federalizzazione dei taxing and spending powers a livello sovranazionale”, in modo che il concetto di solidarietà sia da ora in poi sostanziato da un vero rapporto di sostegno reciproco che lega i componenti dell’Unione.

Non va dimenticato che il Trattato di Lisbona del 2007 (in vigore dal 2009), ha introdotto un’esplicita clausola di solidarietà (art. 222). Essa dispone tra l’altro che gli Stati membri agiscano congiuntamente, “in uno spirito di solidarietà”, qualora uno Stato, che sia oggetto di una calamità naturale o causata dall’uomo, chieda assistenza.

Oggi, quindi, la solidarietà è declinata anche a livello economico. Un iniziale passo fondamentale fu il varo del meccanismo SURE, per aiutare gli Stati a combattere la disoccupazione galoppante.

Ovvio però, che gli interventi successivi hanno fatto la differenza e non solo per le somme stanziate.  Il totale dei fondi previsti a livello europeo è di circa 2018 miliardi di euro. Solo il Next Generatiom EU vale quasi 800 miliardi, di cui circa la metà rappresentata da sovvenzioni a “fondo perduto”, mentre il resto sono prestiti rimborsabili a tassi agevolati. Ma particolarmente significativo è il fatto che sono stati emessi titoli di debito a livello dell’Unione europea e ciò rompe totalmente gli schemi con cui fu affrontata la precedente crisi finanziaria del 2007/2008.

Un cambio di paradigma, fuori da logiche “punitive”, che poco spazio concedevano agli investimenti fatti con debito.

Non solo. Fa capolino in questo contesto anche una reinterpretazione della governance economica europea anche in chiave “redistributiva”.

Patto di Stabilità? No grazie

Ora, è fondamentale non tornare indietro, riproponendo logiche e provvedimenti che la storia ha già giudicato come sbagliati e iniqui.  Tra questi la reintroduzione sic e simpliciter del Patto di Stabilità, contro cui la UIL si batte da tempo. Un meccanismo che ha dimostrato tutti i suoi limiti a cominciare dall’impatto negativo che ha avuto sugli investimenti e la spesa sociale.

Se la pandemia da Covid-19 ha rappresentato – come spesso abbiamo sentito dire – uno spartiacque tra un “prima e un dopo”, lo si vedrà proprio da come verranno affrontate sfide come questa, e di cui i Sindacati europei si sono fatti portavoce durante una manifestazione della CES a Bruxelles lo scorso 12 dicembre, a cui ha partecipato la UIL con il suo segretario generale Pierpaolo Bombardieri.

La solidarietà è un valore irrinunciabile. Senza di essa è difficile (se non impossibile) parlare di comunità e di progresso sociale.

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