FRENA L’OCCUPAZIONE. CRESCONO I NEET E GLI INATTIVI

3' di lettura
Mi piace!
0%
Sono perplesso
0%
È triste
0%
Mi fa arrabbiare
0%
È fantastico!!!
0%

04.03.2022

I nuovi dati sull’occupazione resi noti dall’Istat restituiscono l’immagine di un Paese che, dopo la pandemia, stenta a ripartire, come dovrebbe.

Dopo il trend di crescita costante del 2021, sebbene si registrino 729mila occupati in più in un anno, il mercato del lavoro è in frenata. Il tasso di occupazione è fermo al 59,2% da novembre. Tre mesi in cui la bilancia della nuova occupazione non è salita. Mentre è aumentata, e molto, la quota di inattivi. Soprattutto tra le fasce della popolazione italiana più in difficoltà nelle dinamiche occupazionali: giovani e donne.

Se da un lato, infatti, si registra comunque un segno positivo, dall’altro, analizzando la composizione dell’occupazione, è evidente che restano delle distorsioni che penalizzano l’intera economia.

Il dato sugli inattivi, passato dal 34,8% al 35% suona come un fortissimo campanello d’allarme.  Si tratta di donne e giovani per lo più che hanno rinunciato a cercare un lavoro. E, nel caso dei più giovani, anche a formarsi. Quale futuro si può costruire su queste basi?

Fermarsi ai facili ottimismi quando i dati ufficiali segnano un “più” è troppo semplice e fuorviante. Il lavoro precario è ancora diffusissimo.

Il lavoro temporaneo fa, infatti, registrare un +11,5%, quello stabile un +2,8%. E basterebbe solo questo a spiegare anche lo scoraggiamento di chi un lavoro ha rinunciato a cercarlo.

Aumenta, quindi, il gap di genere sul lavoro. Aumenta il disagio giovanile nei confronti del lavoro. La precarietà resta una costante, quasi un’abitudine, di quelle che, però fanno male.

Una nuvola nera che non può non preoccupare.

La Uil chiede a gran voce linee di indirizzo e di azione di una politica che guardi alla ripresa e all’uscita dalla crisi. Tanto più in un momento come questo in cui la minaccia di nuove crisi economiche non è solo uno spaventapasseri per la finanza, ma ha ricadute già importanti sull’economia e sulle scelte delle imprese compresa quella di assumere nuovo personale.

La necessità di interventi lungimiranti è innegabile: non ci si può accontentare né fidare di una “ripresa” che ha nel suo bagaglio una certa e inconfutabile dose di disagio sociale che, inevitabilmente, si riversa sulle dinamiche occupazionali del Paese.

Un giovane che non studia e non lavora è una sconfitta che si trascinerà per anni.

Una donna che rinuncia al lavoro perché non riesce a conciliare lavoro e famiglia è una perdita economica.

Un progetto di famiglia che non riesce a decollare perché schiacciato dalla mancanza di stabilità lavorativa è un peso collettivo.

Dietro questi numeri si nascondono le piccole grandi storie personali che determinano il benessere di un’intera società, alle quali bisogna, senza e senza ma, dare ascolto e, soprattutto, risposte.

 

Articoli Correlati