Viaggio della memoria con gli studenti a Mauthausen nei luoghi della Shoah

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12.04.2023

Dal 24 al 27 marzo 2023, il Comitato “IN TRENO PER LA MEMORIA”, costituito dalle sezioni lombarde delle Organizzazioni Sindacali di CGIL, CISL e UIL, ha organizzato un viaggio della memoria a Mauthausen (Linz, Austria) nei luoghi della Shoah.

I destinatari di questa esperienza sono stati circa cinquecento giovani, studentesse e studenti di scuola secondaria di secondo grado degli istituti scolastici lombardi aderenti al sistema federativo di studi storici dell’Istituto Nazionale “FERRUCCIO PARRI” – rete degli Istituti per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea.

Un percorso, quello di conoscenza e sensibilizzazione sui temi della Shoah, iniziato tempo prima nelle aule scolastiche con una fase preparatoria che ha visto la partecipazione dei ragazzi ad attività di studio e confronto con storici accreditati.

Il percorso è terminato con le visite ai luoghi della memoria quali il campo di lavoro di Mauthausen e il sottocampo di Gusen, il Museo del Lavoro Coatto di Linz e il castello di Hartheim.

Fondamentale nelle testimonianze storiografiche è stato il contributo dell’ANED Lombardia – Associazione Nazionale Ex Deportati.

Le visite al Museo del Lavoro Coatto, al campo di Mauthausen e al suo sottocampo di Gusen, hanno permesso di affrontare in particolare uno dei tanti temi al cuore dell’universo concentrazionario e dell’esperienza dei deportati: il lavoro forzato al servizio della macchina mortifera nazifascista.

La visita al castello di Hartheim, luogo di sterminio di migliaia di diversamente abili nel nome dell’eugenetica nazista, ha fatto riflettere sul ruolo degli inabili al lavoro nella società di quel tempo e in quella odierna.

Sindacati in viaggio per la memoria

Su questi temi si sono confrontati e interrogati studenti, docenti, delegati sindacali e lavoratori che hanno partecipato al viaggio della memoria. È su questi punti che si capisce il perché della volontà dei Sindacati lombardi nell’essere promotori di questa iniziativa.

Nell’orrore del sistema dei campi di concentramento ed anche in quello dei campi di lavoro forzato, il valore del lavoro come espressione della libertà, della dignità e dell’emancipazione umana è stato trasmutato in forma di oppressione schiavizzante, annullamento esistenziale e organizzata disumanizzazione della società.

La diversità è stata percepita come un freno all’evoluzione della società e per questo motivo doveva essere eliminata e colpevolizzata.

Quanto descritto, sono dinamiche che purtroppo ancora oggi, seppur in maniera diversa e fortunatamente meno tragica ma altrettanto grave, si manifestano nella nostra società.

L’esistenza umana è espressione di due componenti sociali: una materiale, espressione fisica di ciò che siamo; una immateriale, espressione morale della nostra unicità e personalità.

Per esistere nella società abbiamo bisogno di nutrire il nostro corpo per garantire il suo funzionamento biologico così come abbiamo bisogno di “nutrire” il nostro essere sociale sentendoci parte attiva di una comunità, interconnettendoci con gli altri.

Una componente non può prescindere dall’esistenza dall’altra.

La morte esistenziale dell’individuo si ha quando si verificano due condizioni: la prima quando il corpo umano cessa di funzionare biologicamente, la seconda quando l’individuo non riesce più a proiettarsi intellettivamente nella società.

L’ideologia nazifascista aveva lo scopo di disumanizzare l’individuo eliminandolo in ogni sua forma.

Ancor prima dell’eliminazione fisica e biologica attraverso l’orrore delle deportazioni nel sistema concentrazionario, fu eseguita dal regime l’eliminazione sociale degli individui non ritenuti degni di vivere, perpetrata attraverso la negazione dei diritti civili, economici, sociali, culturali e umani.

Tra questi diritti, uno dei primi a essere negato, fu il diritto al lavoro come forma di espressione del talento e delle aspirazioni individuali ed anche come espressione dell’emancipazione umana.

Il lavoro umano rende umani

La discriminante tra l’essere umano e il resto del regno animale è la capacità di produrre lavoro; quindi, il lavoro è nella natura stessa dell’essere umano.

La negazione della più nobile espressione del lavoro è, ed è stata, il primo passo verso l’annullamento dell’essere umano.

Per la criminale ideologia nazifascista, bastava essere ebreo, omosessuale, rom o sinti, oppositore politico per vedersi negato il diritto al lavoro. Chiunque era tacciato come ostile dal regime, perdeva il diritto ad accedere a ogni forma di salario e a ogni forma di sostentamento economico, togliendo al lavoro ogni significato.

L’essere umano concepito come valore aggiunto al processo produttivo attraverso il suo lavoro, fu invece integrato nel processo produttivo come parte stessa di questo.

Ai lavoratori deportati del campo di Mauthausen – come anche ai deportati degli altri campi – fu negato il proprio nome e sostituito con un numero seriale, proprio come si usa fare per identificare una materia prima o un macchinario di produzione.

Al regime non interessava più la parte umana e intellettiva del lavoro, interessava solo la mera funzionalità dello sforzo fisico dell’attività lavorativa al sistema produttivo.

Sempre nella stessa ottica di disumanizzazione erano concepiti luoghi di sterminio come il castello di Hartheim. Chiunque risultasse inabile al lavoro per motivi fisici o intellettivi, quindi non utile alla macchina della guerra, era eliminato.

La diversità e la disabilità, che oggi concepiamo come una condizione da tutelare, durante il periodo nazifascista erano colpevolizzate e ritenute d’intralcio al progetto di evoluzione sociale.

Ammazzare socialmente la persona sopprimendone i diritti di libero cittadino, fu il prologo dell’eliminazione fisica dell’essere umano. 

Se pensiamo a ciò che accade nella società odierna, semplificando il concetto senza banalizzare, negando a un individuo il lavoro difficilmente costui riesce a sostentarsi. Senza sostegno economico difficilmente riuscirebbe a nutrirsi e al tempo stesso possedere una casa. 

Chiunque, probabilmente, dovendo fare una scelta di sopravvivenza, rinuncerebbe a un tetto sulla testa pur di placare la fame fisica.

Senza una casa è quasi impossibile ottenere una residenza e dei documenti e senza questi è impossibile, ad esempio, poter votare per esprimere le proprie idee o ottenere un lavoro per migliorare la propria condizione esistenziale.

Diventa quasi irreversibile poter uscire dalla condizione di annullamento sociale e, di fatto, si assiste alla morte dell’individuo come libero cittadino e portatore di diritti.

La “costituzione morale” del convivere civile e pacificamente.

Oggigiorno diamo per scontato che una società è tanto più evoluta e giusta quanto più riesca a includere e a emancipare anche i più deboli, anche se purtroppo non sempre ciò accade nell’atto pratico. 

Se pensiamo che in passato non sempre questi valori furono dati per assodato, questo dovrebbe farci riflettere su quanto i valori della lotta contro rigurgiti nazifascisti sono tuttora attuali.

Il Sindacato, quindi, come attore sociale in difesa delle classi più deboli e in difesa del diritto al lavoro, svolge un ruolo fondamentale nel preservare il diritto dell’essere umano ad esistere.

È in questo concetto e in questo ruolo che la CGIL, CISL e UIL lombarde hanno fortemente voluto il compimento di questo progetto, riunite nella condivisione di un sistema valoriale che rappresenta la “costituzione morale” del convivere civile e pacificamente.

Un Paese, un Sindacato, un’impresa, una scuola o una qualsiasi comunità è, o dovrebbe, prima di tutto essere questo.

Purtroppo, però non è così facile condividere i valori. Bisogna “allenarsi” nella condivisione e nella convivialità civile.

Per questo motivo l’iniziativa non è cosa sporadica ma è ripetuta negli anni con studenti diversi, proprio per “allenare” i ragazzi – la nostra futura generazione – a coltivare, condividere e a difendere valori comuni fondamentali che garantiscono il diritto all’esistenza umana.

Ufficio Comunicazione UIL Lombardia

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