Spreco alimentare: scadenze e buone pratiche antispreco
09.02.2023
Il 5 Febbraio, giornata dedicata allo spreco alimentare, ci ha ricordato che in Italia lo spreco di cibo vale ancora 6,48 miliardi euro nelle case e oltre 9 miliardi in tutta la filiera, dai campi alle tavole. Nonostante, complici l’inflazione e gli aumenti dei costi energetici, la situazione sia migliorata rispetto al 2022, nel solo mese di gennaio 2023 sono stati gettati in media 524,1 grammi di cibo pro capite a settimana, ovvero circa 75 grammi al giorno, per un totale di 27,253 kg annui (-12% in meno rispetto al 2022). Un dato che si accentua al Sud (+ 8% rispetto alla media nazionale) e per le famiglie senza figli (+ 38%). In particolare, sono più soggetti allo spreco frutta e pane: in un anno ne buttiamo circa 1 kg pro capite.
A parte acquistare prodotti di stagione e fare attenzione al carrello della spesa, una valida strategia per combattere lo spreco alimentare può essere consumare gli alimenti entro la data di scadenza. Per molti cibi essa è determinante ai fini della loro commestibilità, mentre per altri si può essere più flessibili in quanto la data è solo indicativa.
Data di scadenza e termine minimo di conservazione: non sono la stessa cosa!
Prima di tutto è importante saper distinguere fra data di scadenza e termine minimo di conservazione. La data di scadenza, ovvero la dicitura “da consumare entro” seguita dal giorno e dal mese, è indicata sulle confezioni o sulle etichette di alcuni alimenti e ci dice la data entro cui un alimento deve essere consumato; dal giorno successivo consumarlo può essere pericoloso per la salute. Al contrario il “termine minimo di conservazione” o TMC, indicato sulle confezioni con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” seguita da mese, anno e in alcuni casi dal giorno, indica fino a quando un prodotto alimentare (come la pasta, la farina, i biscotti) conserva le sue caratteristiche specifiche – nutrizionali e di gusto, aspetto e aroma – se si rispetta un’adeguata conservazione.
Tendenzialmente i prodotti secchi come il riso e la pasta possono essere consumati anche oltre la data di scadenza, con l’unica accortezza di verificare che non siano infestati dai parassiti che possono penetrare nelle confezioni di cartone e di plastica aperti e che andrebbero sostituiti dai barattoli a chiusura ermetica. La farina può essere consumata anche dopo uno o due mesi dalla data indicata, ma non va usata se compare muffa, emana odore, se la confezione non è integra o se è infestata dalle farfalline. Via libera per biscotti e crackers anche dopo le scadenze, mentre il pane da toast va mangiato entro la data di scadenza e una volta aperto va conservato in frigo e, quindi, consumato nel giro di una settimana.
Per quanto riguarda il latte quello fresco può essere bevuto il giorno dopo la scadenza, scaldandolo bene ma se è inacidito si sentirà dall’odore, quello microfiltrato si può consumare anche qualche giorno dopo la scadenza mentre il latte Uht ha una TMC media di circa quattro mesi. L’accortezza per tutti i tipi di latte, una volta aperti e conservati in frigo, è di consumarli al massimo in 4 giorni.
Lo Yogurt si può mangiare anche qualche giorno dopo il termine, ma attenzione all’eventuale rigonfiamento del tappo. I formaggi freschi devono essere consumati entro la scadenza perché si deteriorano presto e vanno sicuramente buttati se si formano muffe, se la confezione si rigonfia e se il loro sapore è acido o amarognolo. Al contrario quelli stagionati possono durare molte settimane e, anche con la muffa, possono essere consumati, rimuovendola, in quanto nei formaggi stagionati essa non riesce a penetrare all’interno. Si possono mangiare qualche giorno dopo la scadenza anche i salumi confezionati, mentre per la carne preincartata va rispettata la scadenza, quella macinata va cotta entro 24 ore dall’acquisto e quella a fettine entro un paio di giorni.
I prodotti in scatola, avendo subìto un processo di sterilizzazione, sono commestibili anche se superano i 12 mesi dalla data indicata, a meno che la latta non risulti bombata o ammaccata. Nessun problema neanche per il miele che in caso si cristallizzi, si può riportare allo stato liquido scaldandolo a bagnomaria.
L’acqua in bottiglia ha un termine minimo di conservazione che può essere sforato anche di 12 mesi, purché sia stata conservata in un luogo adatto e non abbia alterazioni del gusto né appaia intorbidita. L’olio mantiene più a lungo le sue caratteristiche se mantenuto al buio e in una bottiglia di vetro scuro, ma attenzione alla scadenza indicata perché irrancidisce.
Per quanto riguarda le bevande, le spremute vendute nel banco frigo vanno consumate entro la scadenza, mentre succhi e nettari hanno invece un TMC di qualche mese e si possono bere anche dopo se chiusi. Maionese e salse si possono usare anche qualche mese dopo il termine minimo di conservazione, se chiuse, conservate alla temperatura giusta e non presentano muffe così come sale, zucchero, aceto e caramelle che sono prodotti che non si deteriorano.
Scaduto, non sempre pericoloso
Molto spesso sia la data di scadenza sia il TMC vengono interpretati in senso restrittivo. In realtà i prodotti con il TMC raggiunto o superato non sono dannosi per la salute e possono essere ancora consumati: l’alimento è ancora commestibile, in certi casi addirittura per mesi. Pensiamo a una confezione di crackers: magari con il passare dei giorni si modificheranno un po’ il gusto e la consistenza, probabilmente non saranno più friabili come al momento dell’acquisto, ma mangiarli sarà comunque sicuro.
Quanto tempo dopo si può mangiare?
Ma per quanto tempo è possibile consumare un alimento dopo il termine minimo di conservazione? Dipende dai casi. I prodotti che vanno tenuti in frigorifero sono quelli più deperibili: questi in linea di massima hanno la data di scadenza, che è bene rispettare. In qualche caso (per esempio lo yogurt oppure il latte fresco) si può sforare di uno o due giorni, purché la temperatura del frigo sia impostata correttamente a 4 °C, la confezione sia integra e non si presentino cattivi odori. Con altri alimenti freschi (soprattutto i più deperibili come pesce crudo, carne fresca, formaggi freschi…) invece bisogna essere ligi, perché c’è il rischio che prolifichino microrganismi, alcuni dei quali sono patogeni, cioè dannosi per l’uomo.
I prodotti da dispensa in genere possono essere consumati anche dopo due mesi dal termine minimo di conservazione; in linea generale più lungo è il termine minimo di conservazione previsto, maggiore sarà il margine di tolleranza.
I cibi secchi e senza acqua o a lunga conservazione, ad esempio, sono quelli che meno si deteriorano, e quindi quelli che possono essere consumati anche dopo un mese dalla scadenza. Essi includono: biscotti, pasta, riso, i cereali e i prodotti in scatola.
La lotta contro lo spreco alimentare deve essere un dovere civile. Gli scaffali dei supermercati abbondano di offerte in tal senso. Per loro è un modo come un altro per ottimizzare i profitti. Per noi consumatori è l’occasione ghiotta per risparmiare.
Tra le occasioni offerte dalle catene della grande distribuzione organizzata non mancano i cibi a scadenza imminente. Proprio per questo motivo, passano dal “purgatorio” prima di essere, o definitivamente cestinati, o salvati dai più attenti clienti. Ma qual è la definizione standard di spreco alimentare?
Questo fenomeno rivela un disagio ben più profondo della nostra società consumistica: lo spreco di cibo è dovuto principalmente allo scarto, da parte dei venditori e dei consumatori, di prodotti che non corrispondono a uno standard ideale e appetibile sul mercato. Generalmente devono rispondere a un canone di “bellezza”, dietro il cui fascino e i colori belli vividi, si nasconde una manipolazione non sempre necessaria o sana: coloranti, additivi da evitare, l’uso di fitofarmaci, ormoni e antibiotici, e tanto altro.
In questa cultura dell’apparenza, nello spreco alimentare gioca un ruolo fondamentale anche la scadenza degli alimenti. Tendiamo a scartarli troppo frettolosamente quando si avvicina la data inesorabile della fine, decretata dall’uso di conservanti. Nella società dello spreco, questa paura si è ulteriormente amplificata, fino all’esagerazione, spingendoci a trascurare aspetti ben più importanti, quali, ad esempio, la lettura attenta delle etichette e degli ingredienti dei quali è composto un alimento principalmente elaborato. In fondo, è più facile e veloce dare il colpo d’occhio con una data di scadenza stampata a caratteri cubitali che rendere una etichettatura più semplice, graficamente “appetibile”, ma soprattutto trasparente.
Le buone pratiche contro lo spreco alimentare
Per combattere lo spreco si possono mettere in pratica diverse strategie e cambiare abitudini insane. Grazie alla tecnologia, oggi siamo in grado di rielaborare gli avanzi, interagire attraverso gruppi dedicati e creati sui social network e varie reti sociali, o con le numerose app antispreco scaricabili gratuitamente su smartphone. Le leggi del marketing ci spingono a comprare sempre di più, stimolando bisogni non sempre necessari, così buttiamo cibo che marcisce nei nostri frigoriferi. Tanto per dirne una, buona pratica sarebbe quella di riutilizzare le bucce degli ortaggi, l’olio appena colato dal tonno in scatola, gli avanzi di frutta e pomodori, o lo yogurt in scadenza. Insomma, ridurre lo spreco alimentare è sicuramente possibile: basta diventare più consapevoli dei cibi che compriamo e prestare un po’ più attenzione alle scadenze.
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