SPRECHI ALIMENTARI: IL POLMONE NERO DEL MONDO

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29.01.2023

Sono tante le cause della fame nel mondo, strutturali e non. Ma, tra queste, non c’è sicuramente la mancanza di cibo. Da mangiare ce ne sarebbe per tutti e tutte, se solo fosse distribuito meglio. Infatti, nonostante sia automatico associare la fame a carenze e carestie, il problema è un altro. Milioni di persone non hanno di che mangiare perché altri milioni lo gettano tra i rifiuti. Contro l’insicurezza alimentare, allora, non serve produrre di più. Bisogna sprecare di meno. È d’accordo l’ONU che nell’Agenda 2030 tra gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile ha inserito anche quello di dimezzare la quantità di cibo sprecato.

I numeri dello spreco

L’impresa non è per niente semplice. Stando ai dati del World Food Programme, ogni anno circa un terzo del cibo prodotto per il consumo umano, cioè 1,3 miliardi di tonnellate, viene perso o sprecato. Perso, se gettato nelle fasi di post-raccolto e lavorazione; sprecato, se gettato dai consumatori. Parliamo di circa 1000 miliardi di dollari che finiscono nelle discariche del mondo sviluppato. Chiaramente lo sperpero non riguarda solo gli alimenti, ma anche le risorse impiegate per produrli. Ad esempio, sempre secondo il World Food Programme, l’acqua usata per coltivare le materie prime del cibo che poi finisce tra i rifiuti, potrebbe riempire il lago di Ginevra ben tre volte.

Un problema anche ecologico

Di conseguenza, non si tratta solo di salvare chi soffre la fame. La cultura dello spreco mette a rischio anche l’ambiente. Le montagne di spazzatura alimentare sono un polmone nero che intossica il Pianeta, emettendo più di 3 miliardi di tonnellate di gas serra ogni anno. Più sprechiamo cibo, quindi, più acceleriamo il cambiamento climatico, aggravando fenomeni come la desertificazione e la siccità che a loro volta danneggiano l’agricoltura. E, inevitabilmente, aumentano l’insicurezza alimentare e la malnutrizione in tutto il mondo.

Il singolo non basta

Spesso, in questi casi, si fa ricorso alla coscienza dei singoli che effettivamente può aiutare. Non è da sottovalutare l’apporto su vasta scala di un cambio di abitudini collettivo. Perché acquistare il cibo nelle giuste quantità, fare attenzione alla scadenza, programmare i pasti e riutilizzare gli avanzi o congelare gli alimenti può fare la differenza. D’altro canto, però, non sarà mai abbastanza. Lo sforzo individuale è nullo se il sistema non lo sostiene e asseconda.

L’impegno del world food programme

Il World Food Programme si sta muovendo in questa direzione. Da anni organizza corsi di formazione per governi e istituzioni con cui diffondere buone pratiche sulla trasformazione, l’immagazzinamento, la distribuzione e l’utilizzo dei prodotti alimentari. I primi risultati sono arrivati nell’Africa subsahariana con la promozione di nuove prassi di essicamento a basso prezzo, termometri per rilevare l’umidità e sacchi di chiusura ermetica per contenere gli sprechi di grano. In India, invece, lo staff del WFP ha inventato GrainATM, un sistema che calcola la quantità esatta di grano di cui gli agricoltori hanno bisogno, sempre per ridurre gli sprechi.

Le misure di Bruxelles

Nel mentre, Bruxelles non vuole tirarsi indietro. O piuttosto, non può. Con più di 87 milioni di tonnellate di cibo sprecato, ha le sue responsabilità. Ha finalmente iniziato a farci i conti con la direttiva quadro sui rifiuti del 2008 che chiamava i paesi membri a ridurre sia la quantità di perdite alimentari durante la produzione sia gli sprechi nelle famiglie. Allo stesso tempo, erano incoraggiate le donazioni di cibo e si stabilivano dei processi di monitoraggio sull’applicazione della direttiva stessa.

La piattaforma EU contro gli sprechi alimentari

In seguito, il quadro normativo è stato potenziato con l’istituzione della Piattaforma dell’UE sulle perdite e gli sprechi alimentari. Nata nel 2016 su iniziativa della Commissione e rinnovata nel 2021, riunisce organi comunitari, esperti nazionali e portatori di interesse con il compito di definire misure e prassi all’avanguardia. La sua attività viene affiancata dal Consiglio dei Ministri che da ormai sei anni si è impegnato politicamente per favorire un migliore monitoraggio degli sprechi e una maggiore sensibilizzazione della popolazione europea sul tema. Precisamente sono i ministri dell’Agricoltura e della pesca che si confrontano periodicamente in materia, valutando gli interventi approvati a livello nazionale.

Un ulteriore slancio è poi arrivato con l’adozione nel 2019 del Green Deal per la neutralità climatica entro il 2050.  Infatti, nell’accordo si ribadisce l’impegno della Comunità Europea per dimezzare gli sprechi alimentari pro capite in linea con i propositi dell’Agenda 2030 dell’ONU. A tal fine, nel 2020, la Commissione è tornata attiva con il piano d’azione per l’economia circolare e promuovendo la nuova strategia “Dal produttore al consumatore”. Due misure complementari per costruire un sistema alimentare che combini un approvvigionamento accessibile, un “reddito equo” per i produttori primari, un’agricoltura competitiva e il rispetto dell’ambiente.

Tra il dire e il fare: la volontà politica

Senza dubbio a livello programmatico, l’Unione Europea ha tutte le carte in regola per accompagnare i paesi membri nella delicata transizione verso una produzione di cibo sostenibile. Rimane da vedere quanto i diversi sistemi normativi e la crisi in corso possano ostacolare o rallentare l’intero processo. La speranza è che si possa contare su una ferma volontà politica, comunitaria come nazionale, che orienti i piani industriali e faccia da efficace intermediario tra le parti sociali coinvolte, per mangiare bene tutte e tutti.

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