SIP poi TELECOM ITALIA oggi TIM – Una triste storia italiana  

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24.06.2022

Una storia lunga 25 anni, una parabola che non trova una fine alla sua discesa.

Era il lontano 1997 quando l’allora Governo, con l’avallo di gran parte della Politica, decise di privatizzare una tra le prime 10 aziende nel settore delle telecomunicazioni a livello mondiale, maggior operatore telefonico italiano, la SIP, poi rinominata Telecom Italia, ed oggi TIM.

Una privatizzazione scellerata dopo la quale è iniziata la lenta ed inarrestabile “demolizione” di una realtà industriale che nel 2000 occupava circa 100.000 lavoratrici e lavoratori, ed aveva una grande presenza internazionale, con sedi proprie in decine di Stati.

Un’azione miope, o forse scientemente miope, che ha consegnato in mani private (senza che le stesse mani aprissero i propri portafogli) un’infrastruttura nazionale strategica, mentre invece in tutti i paesi occidentali i processi di liberalizzazione del mercato delle TLC non hanno coinciso con la fine industriale dell’ex monopolista, come purtroppo é accaduto in Italia.

Parliamo di aziende che hanno continuato ad avere posizioni da “incumbent”, dettate inevitabilmente dalla  loro storia e competenza, e che, grazie a processi di privatizzazione oculati all’interno di corretti contesti regolatori, hanno continuato ad essere dei “leader nazionali”, capaci di guidare i progetti infrastrutturali interni, e contemporaneamente conservando anche una forte attività sul piano internazionale, rendendosi attori principali di processi di acquisizione e consolidamento nei mercati esteri. Delle vere e proprie “public company” aperte al mercato, con una significativa presenza di “pazienti” capitali pubblici, che hanno avuto il duplice pregio di stabilizzarne la governance, e permettere alle istituzioni di quei paesi di continuare ad avere voce in capitolo rispetto alla strategicità dell’infrastruttura, come la rete di telecomunicazioni (basti guardare a quanto avvenuto in Francia con Orange, già France Telecom, ed in Germania con Deutsche Telekom).

E in Italia?

Da noi, come spesso accade, si è imboccata una strada differente. Un po’ per assenza di un progetto Paese (ogni Governo che si è insediato ha di fatto avuto una propria idea di intervento nelle reti di TLC, procedendo scientificamente a disfare il modello precedente senza avere, spesso, idea di come costruirne di nuovi), un po’ per una particolare impostazione dell’Unione Europea che non ha permesso, qui, ciò che ha autorizzato in altri Paesi. Rispetto a quest’ultimo punto, infatti, in Italia si è imposto col tempo un modello di TLC totalmente in balia del mercato, consentendo di fatto la demolizione scientifica dell’ex monopolista. Questo ha portato all’assenza di una “azienda paese” che sapesse imporre, sebbene in un contesto di liberalizzazione, una competizione equilibrata, che non avesse del concetto di “consumer first” un’accezione esclusivamente rivolta alla folle competizione tariffaria, a discapito degli investimenti infrastrutturali.

Oggi si raccolgono i frutti amari di una visione miope dello sviluppo dell’infrastruttura delle TLC, che ha costantemente visto perdere efficacia ed efficienza.

Quella realtà industriale che, qualche decennio fa, era all’apice nel settore delle TLC mondiali ha perso quasi totalmente il suo ruolo internazionale, mentre nel mercato italiano ha visto l’avanzare di un costante declino, non solo causato dalla comparsa dei gestori alternativi e concorrenti, ma legato in maniera forte a cause endogene, a quella mancanza di visione sopra richiamata, che non è stata in grado di avere una propria idea rispetto al modello industriale da perseguire.

Con la presentazione del Piano di impresa 2022/2024 i vertici del Gruppo TIM hanno definitivamente scelto di imboccare la strada della “DEMOLIZIONE” del Gruppo SIP-TELECOM, oggi TIM, erede dell’ex monopolista.

Il piano infatti prevede la nascita di una società di rete ed una di servizi.

Nella società “NetCO” dovrebbero confluire l’asset di rete fissa, le attività di wholesale e la società Sparkle.

Nella società “dei servizi”, confluiranno invece i circa 28 milioni di clienti, a partire dal mercato dei grandi clienti “Enterprise – Top e Business”, “Consumer – Retail e Small-Medium”, la “Telefonia Mobile”, tutta la gestione e sviluppo del Cloudcon il progetto del “Cloud Nazionale” e le relative gare pubbliche, “l’IOT Internet delle Cose con i progetti di smart cities, la “Cyber Security” e la parte internazionale di “Tim Brasil”.

Un iniziale “spezzatino”, dove la società dei servizi, per come viene disegnata, si appresta ad essere il veicolo attraverso il quale l’azionista di riferimento “Vivendi” miri a rientrare del forte investimento iniziale e delle perdite finanziarie fino ad oggi accumulate.

Un’azienda del genere, focalizzata su queste linee di business, è particolarmente appetibile per i fondi speculativi di investimento, e contemporaneamente importante per la sua dote, la base clienti, per il mercato dei contenuti (campo nel quale Vivendi continua ad avere grandi interessi).

Si presterebbe poi ad essere ulteriormente “spezzettata” attraverso la valorizzazione di alcune specifiche parti di essa (Cloud, Iot, Cybersecurity) realizzando così, nel breve e medio periodo, ulteriori ed “interessanti” profitti.

In mezzo a questo marasma, quasi messi in disparte dai ragionamenti esclusivamente finanziari, ci sono invece gli attuali livelli occupazionali, che ai più sembrano un problema secondario ma che per noi rappresentano invece il primo FONDAMENTALE obiettivo!

La stabilità occupazionale e professionale dei 43.000 dipendenti del Gruppo TIM, lavoratrici e lavoratori, non può e non deve essere immolata in conseguenza dell’ennesimo disastro realizzato ai danni del PAESE e della collettività dall’attuale classe politica, e da un  Governo sordo, al quale dei soggetti privati tentano, con incredibile leggerezza, di rivendere la rete trasmissiva  di cui lo stesso era prima proprietario, e che prima della scellerata privatizzazione, ed ancora oggi,  collega e mette in comunicazione circa 60 milioni di italiani!!

Chi si permette di definire “ANACRONISTICO” il concetto di operatore verticalmente integrato, si permette di sfidare le scelte di tutti gli altri Stati e relativi gestori ex monopolisti delle TLC Europee.

Di anacronistico in tutta questa situazione, c’è solo il progetto di suddivisione del gruppo in più realtà, progetto visto quasi a noia nel panorama internazionale della finanza applicata.

Per quanto esposto, il 23 febbraio scorso e poi ancora il 21 giugno, sono state realizzate due giornate di sciopero, proprio per manifestare la totale contrarietà a questo progetto, che di industriale non ha nulla, e che invece mal cela il suo scopo prettamente finanziario.

Due scioperi partecipati e riusciti, che segnano il proseguo di una contrapposizione che non può in nessun modo pensare al sindacato confederale come coprotagonista di uno scempio industriale annunciato nelle sue intenzioni, e su cui i rappresentanti eletti dei cittadini non si pronunciano o non si esprimono in maniera netta, nascondendosi dietro il disegno di un governo tecnico il cui operato avrà però forti ripercussioni per molti anni a venire.

La vertenza è lunga e la contrapposizione sarà altrettanto forte e decisa.

I politici passano, le loro scelte scellerate o ancora peggio i loro silenzi, restano nel tempo.

La UILCOM UIL e tutto il sindacato confederale, dopo le elezioni politiche di marzo, dovrà probabilmente difendere, come unico soggetto, il futuro di circa 80.000 Lavoratrici e Lavoratori tra occupati diretti ed indiretti.

Luciano Savant Levra

Segretario Nazionale UILCOM

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