OXFAM: “Disuguaglianze in aumento”, decisivo il governo dell’IA.

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08.10.2024

L’1% supermilionario possiede più ricchezza del 95% della popolazione mondiale. Due sole multinazionali sono proprietarie del 40% del mercato globale di semi. I tre maggiori gestori di fondi statunitensi – BackRock, State Street e Vanguard – gestiscono 20 trilioni di dollari in attivo, ossia un quinto degli investimenti mondiali. Questi dati parlano chiaro: abbiamo un problema di disuguaglianze che – Stiglitz insegna – sono un problema di democrazia.

Il binomio disuguaglianze – democrazia

L’allarme arriva dall’ultimo rapporto Oxfam presentato all’Assemblea Generale dell’ONU che, non a caso, collega la profonda iniquità nella distribuzione della ricchezza al suo impatto politico.

“L’influenza degli oltre mille milionari nell’economia” spiega l’ONG “è aumentata in maniera considerevole”. Questo perché “oltre un terzo delle 50 principali imprese al mondo hanno un miliardario come direttore esecutivo o azionista maggioritario”.

Di conseguenza, in questo scenario, il governo della crisi climatica e della transizione può essere ostacolato dalla concentrazione di potere nelle mani di pochi. Nell’era dell’oligarchia globale, dove le disuguaglianze non fanno altro che aumentare, gli ultraricchi hanno gli strumenti per condizionare le decisioni politiche, frenando eventuali passi avanti sul fronte ambientale e sociale. Come sottolinea il direttore di Oxfam, Franc Cortada “gli ultraricchi e le mega imprese stanno scrivendo le regole del gioco a loro favore, a costo del resto della popolazione”. Sempre secondo Cortada, infatti, i Big Player sfruttano il proprio vantaggio politico-economico per sabotare la lotta contro l’evasione fiscale, mentre le Big Pharma fanno lobbying per impedire l’accesso universale ai vaccini contro il Covid 19. L’influenza degli ultraricchi saboterebbe anche gli sforzi politici finalizzati a cancellare il debito insostenibile dei paesi del sud globale.

Disuguaglianze in aumento e l’impatto della rivoluzione tecnologica

Il quadro si complica se consideriamo un altro fattore decisivo: la rivoluzione tecnologica. Sia in Europa che nel mondo, l’intelligenza artificiale rappresenta una straordinaria opportunità di progresso che, però, non è priva di rischi. Partendo dal presupposto per cui l’innovazione deve essere un bene per tutti e non per pochi, ci sono altri dati da tenere d’occhio. Ad esempio, secondo il Parlamento Europeo, con l’avvento dell’IA, il 14% degli impieghi nei Paesi OCSE saranno sostituiti. Per Goldman Sachs, negli Stati Uniti e in Europa, l’IA potrebbe minacciare ben 300 milioni di posti di lavoro. Due terzi potrebbero essere parzialmente automatizzati e uno su quattro potrebbe esserlo del tutto.

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) stima che l’IA trasformerà il 60% dei posti di lavoro nelle economie avanzate, il 40% nei Paesi in via di sviluppo e il 26% nei Paesi più poveri. Questa mutazione radicale non impatterà in primis sulle mansioni a bassa qualifica, ma sulle professioni high skill e creative, data la capacità creativa dell’algoritmo.

Ad oggi, sicuramente, mancano iniziative e progetti che oltre allo sviluppo dell’IA, tengano conto del risvolto sociale del suo impiego. Una lacuna evidente, nella politica europea come in quella italiana, segnalata a gran voce dalla UIL nell’ultimo tavolo di confronto con il Ministro Urso. A livello nazionale e globale, il concetto di transizione sociale e giusta fatica ad affermarsi. Ignorare questo essenziale aspetto della rivoluzione tecnologica, significa continuare a fare profitto sulla pelle di lavoratrici e lavoratori, “sacrificando sull’altare dell’AI, la sostenibilità sociale”. Un’ipotesi, per la UIL, inammissibile.

 

 

 

 

 

 

 

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