Sanità: “Liste di attesa” e “disuguaglianze”
07.04.2023
Tra liste di attesa e disuguaglianze la situazione della sanità è in codice rosso. Richiedere una prestazione sanitaria, fare un esame o una visita specialistica nel nostro Paese è sempre un’impresa titanica.
Non è questione di oggi o di ieri, anche se la pandemia da Covid 19 ha accumulato ritardi pesantissimi, ma i tempi lunghissimi delle liste di attesa nella sanità per le cure ordinarie e gli screening, rappresenta, da qualche decennio, quel tallone fragile del nostro Servizio Sanitario nazionale che non abbiamo saputo arginare e che oggi rappresenta in qualche modo il colpo mortale al diritto e tutela della salute per tutti e in ogni dove.
Dati e numeri
I dati sono impressionanti: più di 375 giorni per una ecografia, 300 giorni per una visita dermatologica o oculistica, per non parlare dei tempi biblici che occorrono per delle prestazioni più complesse come una risonanza magnetica.
Ritardi che investono anche le priorità negli ospedali perché non ci sono posti disponibili e questo sappiamo bene cosa voglia dire per chi soffre di malattie cardiologiche e oncologiche.
Una criticità percepita dalle persone a tal punto che i dati sulla rinuncia alle cure sono altrettanto preoccupanti.
In termini percentuali, si registra che la quota di persone che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie è passata dal 6,3% nel 2019 al 9,6% nel 2020, sino all’l’11,1% nel 2021. E se nel 2022 le stime attesterebbero un recupero con una riduzione al 7%, l’ostacolo principale rimangono le lunghe liste di attesa (4,2%) rispetto alle rinunce per motivi economici (3,2%).
Tra Nord e Sud
Disuguaglianze in aumento e fuga verso il privato, per chi può permetterselo ma anche maggiore spesa per tante famiglie che a “piedi”, percorrono chilometri verso i santuari di una Sanità pubblica che offre ancora soccorso.
Da un monitoraggio del Ministero della Salute sugli adempimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) si riscontrano le enormi disuguaglianze regionali con un gap Nord-Sud ormai incolmabile, che rende la “questione meridionale” in sanità una priorità sociale ed economica.
Infatti, guardando ai punteggi LEA nel decennio 2010-2019, tra le prime 10 Regioni solo due sono del centro (Umbria e Marche) e nessuna del sud; nel 2020 solo 11 Regioni risultano adempienti ai LEA, di cui solo la Puglia al Sud; eccetto Basilicata e Sardegna sono in Piano di rientro tutte le Regioni del centro-sud, con Calabria e Molise commissariate; e nel 2020 Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto attraggono il 94,1% della mobilità sanitaria.
Un punto di non ritorno per il Servizio Sanitario le cui cause sono da ricercare nei tagli della spesa alla Sanità in questi ultimi 10 anni ma anche a una svendita dei servizi che, per motivi organizzativi e di governance, non ha centrato quel l’obiettivo di concorrenza reale con un privato molto attrezzato e per certi versi sostenuto.
Una conquista sociale, un fiore all’occhiello del nostro welfare sostegno di equità sociale e pilastro dello sviluppo economico che lentamente muore, una priorità del Paese Italia e un pilastro della nostra democrazia in cui alla luce dei dati è evidente e necessario un repentino cambio di rotta.
Dipartimento Politiche sociali di Cittadinanza e del Welfare UIL
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