Le agenzie di rating: in pochi decidono della vita di tutti noi

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08.03.2023

Il rating è un’attività di analisi economica, svolta da alcune grandi società, finalizzata alla formulazione di un giudizio di affidabilità e di parere sul merito creditizio di persone fisiche e giuridiche, di obbligazioni, di altri titoli di debito, di azioni privilegiate o di altri strumenti finanziari. I ratings, quindi, sono giudizi che si esprimono sulla capacità di uno specifico debitore (che può essere una società, uno Stato, un intermediario finanziario, un ente pubblico ecc.) di onorare, a scadenza, i propri impegni finanziari. Per realizzare queste valutazioni vengono considerate variabili e fattori ricollegabili alla realtà patrimoniale, strategica ed organizzativa del soggetto sottoposto ad analisi. Materialmente sono analizzati i documenti di bilancio, le relazioni di gestione, i budget previsionali, e i risultati economici. I dati raccolti consentono all’agenzia di rating di realizzare stime riguardanti i profili organizzativi, patrimoniali e finanziari, confrontando la situazione interna con l’andamento del mercato di riferimento e le strategie future.

In definitiva, la caratteristica primaria dei ratings è quella di riassumere in modo estremamente sintetico una serie variabile di dati e informazioni, il più delle volte non accessibili al pubblico, raccolte da informatori o fornite agli analisti delle agenzie dallo stesso soggetto valutato, al fine di permettere  di esprimere un giudizio sulla rischiosità dell’investimento, di prevedere il rischio di insolvenza dell’ emittente di un titolo di debito, di uno strumento o prodotto finanziario.

Negli ultimi anni le agenzie di rating, per allargare la propria clientela e quindi gli utili, hanno iniziato ad ampliare le tipologie dei servizi offerti, provocando allo stesso tempo l’aumento di consistenti e intricati conflitti di interessi.

Di fatto da quando è nata l’attività di rating, in oltre cento anni di storia, chi l’ha esercitata ha accumulato crescenti fortune economiche e un notevole potere sui mercati finanziari globali, tutto ciò grazie a un clima di “lasciar fare” da parte dalla pubblica opinione, degli studiosi, dei legislatori e delle istituzioni di controllo dei mercati che tendevano a dare per scontata l’autorevolezza dei metodi adoperati, la capacità di autoregolamentazione, e l’eticità di tali società di rating.

Da almeno vent’anni l’ottenimento di un rating è diventata negli USA e in Europa una caratteristica praticamente obbligatoria per i soggetti presenti sul mercato dei capitali, inclusi gli Stati e le istituzioni finanziarie internazionali o sovranazionali, e di conseguenza per gli strumenti messi in circolazione. Inoltre, molti investitori professionali o istituzionali sono vincolati da norme legali, statutarie, regolamenti, codici di condotta ecc. a sottoscrivere, acquistare o operare esclusivamente su strumenti dotati di rating.

Elemento da non sottovalutare è che oggi il mercato dei ratings è dominato da pochi emittenti: Moody’s, Standard&Poor’s e Fitch, noti anche come “big three”, che forniscono una percentuale oscillante tra il 90 e il 95% dei ratings annui. Bisogna considerare che solitamente le società di rating più piccole, che emettono valutazioni in specifiche aree geografiche regionali o in settori specializzati, non sono del tutto libere dato che nella maggior parte dei casi sono controllate, partecipate o affiliate in altro modo alle “big three”.

Importantissima forma di rating riguarda il debito sovrano, che solitamente avviene in assenza di una specifica richiesta da parte del Paese sottoposto ad analisi. Si parla di giudizi cd. unsolicited, che mirano a certificare la capacità e la volontà delle autorità governative di onorare completamente gli impegni finanziari pubblici entro le scadenze prestabilite. Gli elementi, considerati per valutare il livello di rischio creditizio gravante sui titoli sovrani si basano su orientamenti politici, sui differenti livelli di stabilità istituzionale, sul benessere collettivo, e in generale sull’andamento del sistema pubblico. Sotto un profilo più tecnico tale indagine considera l’incidenza di specifici fattori politico-economici e finanziari-monetari.

In particolare, si considera l’organizzazione politica dello Stato, la posizione di quest’ultimo sui mercati internazionali, il grado di flessibilità monetaria e fiscale, e le prospettive di crescita e di sviluppo future, tutte informazioni facilmente rintracciabili sui mercati finanziari. Di fatto, però, le agenzie di rating prendono in considerazione anche le condizioni di benessere collettivo del Paese, poiché, data la mancanza di un rapporto contrattuale tra il rater e lo Stato sovrano, non è concesso al primo raccogliere dati e notizie interne riguardo alla situazione specifica del secondo, così per la realizzazione della valutazione l’agenzia di rating finisce per adoperare le notizie, le informazioni note e le condizioni di vita dei cittadini, dati che nel modo in cui sono raccolti assomigliano più a sondaggi giornalistici che non frutto di studi economico finanziari.

In teoria questa tipologia di rating dovrebbe essere utile a orientare gli investitori, ma finisce per diventare un esame da superare per i governi, che quindi sono portati a compiere scelte che non considerano i piani politici prestabiliti e il benessere dei cittadini, ma tendono unicamente a compiacere le scelte politiche economiche ritenute virtuose dalle società che emettono ratings. Sotto il profilo giuridico si riscontra una carenza di legittimazione a rilasciare tale genere di giudizi, dato che è assente una richiesta di rating da parte degli Stati, per cui dovrebbe configurarsi un danno causato dalla violazione del generale principio del “nimen laedere”. Nonostante ciò, in più casi vari tribunali europei non hanno riconosciuto un nesso tra le valutazioni emesse e i danni da esse causati, non è stato riscontrato un danno extracontrattuale, né un danno per legittimo affidamento ingenerato negli investitori dai giudizi emessi che poi si sono rivelati non corretti. Le perplessità sullo strumento rating e sulle società che li emettono aumentano se si considera che non è imposta nessuna forma societaria, e che l’attività di rating è permessa a qualsiasi imprenditore commerciale. Si è così diffusa la prassi di consentire la presenza nell’organo amministrativo di membri che siano espressione dei soggetti valutati, cioè soggetti che hanno la rappresentanza o la proprietà di quote di altre società e ciò ovviamente genera un palese conflitto d’interesse. Per dare un’idea precisa, nella tabella sono riportati i soggetti che detengono determinate quote sia di Moody’s che di Standard & Poor’s,

 

Azionisti Standard & Poor’s Moody’s
NORTHEM TRUST CORP. 1,75% 1,32%
CAPITALGROUP COMPANIES 16,15% 21,98%
VANGUARD GROUP INC. 4,44% 3,97%
STATE STREET CORP. 4,41% 3,91%
ROWE PRICE ASSOCIATES 3,90% 3,98%
FIDELITY INVESTMENTS 1,27% 8,15%
BLACK ROCK INC. 4,59% 6,89%
BANK OF NEW YORK 1,23% 2,25%
MASSACHUSET FIN. SERVICES 0,21% 0,62%
TOTALE 38% 53%

(Fonte: Commission staff working paper, impact assessment accompaying the document Proposal for a Regulation amending Regulation EC 1060/2009).

 

Si determina, così, una disfunzionalità perché in certi casi c’è un’autovalutazione. Tale problematica è emersa in modo palese nella questione dei mutui subprime, culminata con la devastante crisi dei mercati finanziari nel 2008, in cui è parso quantomeno indice di incompetenza valutare positivamente istituti che emettevano titoli che solo poche settimane dopo si sono rivelati “tossici” (caso Lehman Brothers), contribuendo a gonfiare quella bolla speculativa che poi è scoppiata.

Le motivazioni più frequenti per le quali si emette un rating falsato vanno dai semplici interessi personali o di gruppi interni alla società, a esigenze di competitività come mantenere la clientela o aumentarla fornendo valutazioni positive anche se non reali, non rari sono i casi in cui il rater diffonda un rating falsato non per favorire il cliente che ne ha fatto richiesta, ma perché utile agli interessi di un terzo soggetto che a sua volta può essere o un cliente o semplicemente può portare maggiori vantaggi all’agenzia di rating in termini economici, reputazionali o strategici sul mercato, gravando così oltre che sul sistema economico anche sul cliente che ha commissionato l’elaborazione del rating.

Molte volte sono stati perseguiti fini puramente aziendali, ossia il maggior profitto, piuttosto che adempiere alla funzione sociale che nel tempo le società di ratings si sono accaparrate, facendo enormi danni economici che si ripercuotono sull’economia e sulla vita delle persone. Infatti, ogni volta che una società o uno Stato riceve un rating al ribasso la “cura” è vista sempre nella razionalizzazione dei costi e ciò si traduce sempre in licenziamenti, tagli al welfare e aumento delle tassazioni.

Le società di ratings a loro discolpa affermano che l’utilità dei servizi che offrono è quella di consentire ai clienti che ne fanno richiesta un’accurata pianificazione delle strategie economiche e finanziarie, potendo avvalersi di informazioni “privilegiate” a cui i concorrenti non hanno facilmente accesso, perché ricevute appunto dalle agenzie di rating che spesso a loro volta le hanno ottenute dalle stesse società concorrenti che hanno valutato. Si innesca, così, quasi un riciclo delle informazioni adoperate per realizzare i rating, una pratica che molti economisti associano all’insider trading.

Altro elemento che desta perplessità è la sempre maggiore presenza di ex consulenti delle agenzie di rating, tra coloro che hanno incarichi in enti indipendenti, società pubbliche o, addirittura, tra i membri dei così detti “governi tecnici”, ovviamente riconoscendo la loro competenza, preparazione e professionalità, restano molti dubbi. Mario Draghi, ha recentemente affermato “bisognerebbe imparare a vivere senza le agenzie di rating o quanto meno imparare a fare meno affidamento sui loro giudizi”.

La mancanza di un diritto all’altezza della gestione dei mercati, ormai pienamente globalizzati, che sempre più ricorrono alle forme del contratto privato piuttosto che a quelle pubbliche generali ed astratte tipiche della legge, anche a causa dell’operato delle agenzie di rating che per lungo tempo hanno agito in carenza di precisi limiti e confini stabiliti dai legislatori nazionali, impone interventi legislativi volti a regolare e limitare comportamenti utilitaristici di chi ha il potere e la responsabilità di influire con il proprio operato sull’economia mondiale, sulle politiche nazionali e sulle vite di tutti noi.

Francesco Lamonea, Officina Civile

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