Il lavoro nell’arte – “L’Alzaia” di Telemaco Signorini, 1864 

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18.05.2023

Si tratta di uno dei dipinti più belli della pittura italiana della seconda metà dell’800 e di uno dei più belli di tutta la pittura di impegno sociale dedicata alle tematiche del lavoro

I braccianti dell’Alzaia

Il quadro rappresenta alcuni “alzaioli”, cioè braccianti agricoli del luogo, usati come bestie da soma per trascinare “a spalla” le imbarcazioni (i “navicelli”) usate per il trasporto delle merci lungo l’Arno, in assenza di vento favorevole oppure quando le imbarcazioni non erano dotate di remi. Alcuni braccianti (i “dannati del fiume” come venivano significativamente chiamati) trascinano contro-corrente un navicello lungo l’argine dell’Arno, nei pressi del parco delle Cascine. 

Si tratta di un lavoro da bestie fatto con fatica estrema, inumana, un lavoro da schiavi: il viso rivolto verso il basso (tranne quello della figura centrale) sembra appunto annullare ogni tratto umano da queste figure ed esprimere la fatica nella sua forma più arcaica, il lavoro come maledizione biblica.

La scena, come scrisse lo stesso Signorini, è ripresa dal vero ed è dipinta con un punto di vista molto ribassato, le gambe degli alzaioli sprofondate lungo l’argine, le schiene piegate e protese in avanti ad evidenziare lo sforzo immane, a sottolineare la fatica tremenda.

Il lavoro come maledizione biblica

È proprio ciò che l’artista intende denunciare: le bestiali condizioni di lavoro degli alzaioli che trascinavano le imbarcazioni sull’Arno tra Firenze e il borgo di Limite: gli uomini, vestiti con poveri indumenti, hanno la pelle scura, cotta dal sole mentre, poco distante, un borghese ben vestito, col cilindro, porta a spasso la sua bambina e il cagnolino, apparentemente indifferente a quanto accade sotto i suoi occhi.

Questo dipinto ebbe una recensione estremamente negativa da parte della critica e, in particolare, Guglielmo Stella, sulla Stampa, si accanì contro l’artista: impietosamente parlò di “soggetto triste e desolante, dal contenuto nullo” e scrisse anche che “L’arte si presta malissimo a certe dimostrazioni filosofiche e umanitarie”.  In sostanza, anche in Italia, i pittori di tendenza realista, che avevano a cuore i temi del lavoro e delle classi lavoratrici, vennero messi al bando dalla “critica” ufficiale: anche in questo simili a Courbet e ai realisti francesi.

La funzione sociale dell’arte

Lettore e ammiratore di Proudhon, Signorini si pone il problema della funzione sociale dell’Arte che deve tendere all’ educazione e al perfezionamento morale dell’umanità. Per questo, come i suoi compagni “Macchiaioli” (così vennero chiamati in senso spregiativo i pittori della nostra stagione del realismo in Toscana), lasciata l’Accademia, partecipò alle riunioni del Caffè Michelangelo, a Firenze, e volle recarsi a Parigi a conoscere personalmente gli artisti del movimento realista e partecipò ai Moti risorgimentali, arruolandosi tra i garibaldini. 

Ironia della sorte “L’Alzaia”, “messo al bando” in Italia,  fu premiato a Vienna nel 1873, nell’ Expo internazionale. Oggi, questo importantissimo dipinto che gode di una valutazione “stellare” ed è conservato in una collezione privata.

Licia Lisei, Professoressa di Storia dell’Arte

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