L’arte, il Lavoro, il Movimento Operaio

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15.04.2023

Il lavoro nell’arte fa la sua apparizione, in modo consapevole e organico, nella Francia del periodo compreso tra il 1840 e il 1880.

È proprio in questo contesto che viene teorizzata e formalizzata la teoria del “Realismo” quale concezione coerente e appropriata alle esigenze della modernità, della nuova società urbana ed industriale.

Si potrebbe affermare che trionfi una visione “sociologica” e politica dell’arte e della letteratura che devono essere poste al servizio della società, rappresentandone tutte le componenti e stratificazioni, tutte le dinamiche, le tensioni e i conflitti.

Il nascente movimento operaio, sulla scia degli scritti di Marx ed Engels sull’arte, fa propria la concezione del Realismo affiancandogli, in un secondo momento, l’aggettivo “socialista”.

Va detto subito che il “Realismo” non fu un fenomeno esclusivamente francese ma che esso ebbe echi e varianti in Italia (dove si preferì la parola “Verismo”), in Gran Bretagna e nel resto d’Europa, (dove manifestò una sua spiccata specificità), e successivamente negli USA e nella Russia sovietica. 

Il periodo storico indicato è quello che vede l’affermazione in Francia, sia pur per breve tempo, dei nuovi ideali repubblicani e democratici, la loro successiva caduta e l’affermazione dei conservatori/reazionari che daranno vita al Secondo Impero.

Siamo anche nel periodo del decollo industriale della Francia e della sua espansione imperialistica. Trionfa la borghesia capitalistica e finanziaria, il denaro domina la vita pubblica e privata, “tutto gli si prostituisce” (Balzac) e gli stessi organismi parlamentari non sono altro che “comitati d’affari” della borghesia (Marx).

Si profila l’antagonismo, sempre più evidente, tra borghesia e proletariato. Insieme con l’industrializzazione trionfa il razionalismo economico che assicura la completa vittoria del capitalismo, il progresso delle scienze positive, una generale tendenza scientifica del pensiero e una generale rivolta contro idealismi e romanticismi.

Pavillon du Realisme

  1. Courbet, affiancato dal “filosofo” Proudhon, del quale fu grande amico, ebbe un ruolo di primissimo piano, insieme ai critici Duranty e Champfleury, nel “lancio” e nella definizione del Realismo. Insieme dettarono le linee guida del movimento e dettero vita al “Pavillon du Realisme” che fu tenuto a battesimo nell’expo del 1855. Il Realismo predica un’arte che “rispecchi” la realtà della società (la poetica del “rispecchiamento” è quella ufficiale del movimento): questo significa non solo che l’arte deve imitare la realtà, ma piuttosto, che l’arte deve rapportarsi al mondo inteso nella sua complessità naturale e sociale, e alla dialettica natura/storia.

Il Realismo si autodefinisce soprattutto in negativo: si oppone alla tradizione classico-accademica, al “fantastico”, all’immaginario, al pittoresco, al metafisico, alla pittura religiosa, mitologica e storica tradizionale.

L’artista deve essere come uno scienziato, come un chirurgo che deve immergere il pennello o la penna, come un bisturi, nella realtà sociale, in modo lucido e crudo, e come lo scienziato deve avere una visione diretta e oggettiva della realtà. Poiché la critica contro il passato deve essere attuata senza riserve, gli esponenti del movimento abbandonarono le Accademie e incominciarono a riunirsi presso locande, birrerie, café chantant (famosa è stata la  Brasserie Andler) che divennero centri di animatissimi incontri e discussioni.

Ovviamente le Accademie rispondono colpo su colpo, e poiché gli accademici detengono il diritto di veto nelle pubbliche esposizioni, la vendetta arriva subito sotto forma di “messa al bando” delle opere ritenute offensive del senso morale comune.

La Censura, poi, si accanisce contro le opere letterarie ritenute immorali: “Madame Bovary” di Flaubert, “Les Fleurs du Mal” di Baudelaire, ecc. Nasce il fenomeno delle mostre “separatiste” dei “refusés” (rifiutati).

Oggettività e impersonalità

È il collegamento con la cultura del Positivismo che garantisce al movimento realista e naturalista francese la sua radicalità, soprattutto per quanto riguarda i canoni dell’oggettività e impersonalità. I teorici del movimento, H. Tayne e A. Comte, sollecitano gli artisti ad un’accurata osservazione empirica della realtà, ad uno studio scrupoloso dei “fatti”. L’opera d’arte deve sembrare “essersi fatta da sé”, deve riprodurre la realtà nella sua inconsapevolezza, indifferenza morale, assenza di scelte. Preferisce il gruppo sociale o familiare, la folla all’individuo e all’eroe, il relativo all’assoluto.

L’artista deve “avere occhi” per comprendere i cambiamenti in atto: la società sta velocemente cambiando, sia pure in modo non uniforme; l’industrializzazione modifica velocemente gli stili di vita,  le abitudini quotidiane, le consuetudini sociali.

La vita urbana diviene più movimentata e complessa: L’uomo è considerato “storicamente determinato” e condizionato dall’Ambiente”, dalla “Razza” e dal “momento”. Nascono nuove scienze quali la Sociologia e l’Antropologia; si prende atto dell’esistenza dei dislivelli culturali all’interno delle società evolute e si conoscono e si studiano i popoli primitivi contemporanei.

Un grande tema del Realismo è la Città moderna con i suoi ritmi e i paesaggi industriali.

Nuovi luoghi vengono esplorati: i mercati, le stazioni ferroviarie, gli ippodromi, i bordelli, i locali di spettacolo, le case da gioco mentre un ruolo centrale riveste l’antieroina per eccellenza: la donna traviata; ma compare anche il bohémien, l’uomo dedito all’alcool o all’oppio e gli emarginati in genere.

La città diviene una sorta di inferno laico, un luogo di perdizione, di insidie e pericoli; è il luogo in cui si manifesta, in tutta evidenza, la completa dedizione agli “affari”, la lotta senza remore contro la concorrenza, l’ambizione senza freni,  la spietatezza dei rapporti; ma la città è anche un luogo che offre possibilità a chi osa; essa distrugge i costumi e la moralità tradizionali ma è anche creatrice di novità; è fonte dell’ alienazione e dello spleen ma è il contesto essenziale nel quale si sviluppa l’arte, la poesia, la letteratura moderna. 

Arte e lavoro

In Italia, forse perché ancora politicamente divisa, possiamo notare una situazione “frammentaria” nel campo artistico.

Al nord la pittura tardo-romantica della “Scapigliatura”, con accenti di indiscutibile novità formale, trapassa ben presto nel movimento del Divisionismo. Tecnicamente siamo di fronte ad una corrente artistica decisamente lontana dalla tradizione pittorica ottocentesca (non a caso sarà matrice del Futurismo), ma soprattutto, la cultura “positivista”, porterà ad una visione più ottimistica del futuro rispetto al Meridione d’Italia.

Infatti, nella pittura di Morbelli, Segantini, Previati, Pellizza da Volpedo ecc., al di là delle differenze tra i singoli artisti, prevale una visione “positiva” della vita e un certo ottimismo nel futuro. Ci sarà bisogno di organizzarsi e di lottare ma ci sarà anche una speranza di progresso. Questo potrà essere “radioso”, illuminato dal “sol dell’avvenire”, perché le masse operaie portano con sé, ineluttabilmente, la forza della loro coesione e solidarietà. Qui, gli ideali della pittura divisionista si sovrappongono alle parole d’ordine e ai simboli pittorici del nascente movimento operaio organizzato. 

Nel meridione, la cultura del Positivismo in campo artistico e letterario penetra attraverso il soggiorno milanese di Capuana e Verga, mentre per quanto riguarda le correnti artistiche, sono determinanti i contatti degli artisti toscani con la pittura francese: es. i soggiorni di Degas in Toscana e altrove. Viceversa, contatti di artisti italiani a Parigi, con autori francesi.

La Toscana riveste un ruolo di importanza primaria: la cultura “liberale” del Granducato, consente agli artisti italiani provenienti dal meridione o dall’ ambito austro-ungarico, perseguitati per le loro idee politiche, di trovarvi rifugio politico e stimoli artistici nuovi e progressisti.

In realtà, la prima fase del Realismo (che in Italia si chiamerà Verismo ed è parallelo alla ricerca letteraria di Capuana e Verga, è improntata ad un pessimismo tragico evidente.  La tragedia dei Malavoglia che si apre con il naufragio della loro barca, non a caso chiamata “la Provvidenza”, lascia trapelare non solo la fine di qualsiasi trascendenza ma anche il pessimismo tragico rispetto all’idea di “progresso”: la collocazione sociale di appartenenza, il lavoro a cui si è “legati” è una condanna dalla quale non c’è riscatto.

Non è l’alleanza e la solidarietà tra lavoratori a gettare le basi di un possibile mutamento della loro sorte, che non è possibile si verifichi, perché tutto è destinato a rimanere immutabile, ma è il restare abbarbicati ai valori tradizionali della famiglia, (l’ideale dell’ostrica), perpetuandone le forme e le modalità, a garantire la sopravvivenza: ma nessuna speranza di cambiamento e di progresso. Si vedano, a tal proposito, le opere di Teofilo Patini, Filippo Palizzi e, più tardi, di F. P. Michetti. 

Licia Lisei, Professoressa di Storia dell’Arte

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