LA LOTTA PER LA CASA: CONGIUNZIONE DELLA LOTTA PER I SALARI CON LE RIFORME DI STRUTTURA

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19.11.2022

Il 19 novembre 1969 venne proclamato da Cgil, Cisl e Uil lo sciopero generale per il diritto alla casa. La giornata di lotta riuscì pienamente perché la mobilitazione coinvolse milioni di persone. L’Italia continuava ad accumulare ritardi nella politica abitativa e i governi erano poco sensibili a questa primaria necessità.

Coloro che vivevano il disagio abitativo, il sovraffollamento, il degrado di quartieri urbani, il caro affitti e gli sfratti o l’assenza di alloggi, quest’ultima alimentata dalla pressione demografica dei flussi migratori verso i grandi centri urbani e industriali, avevano avuto negli anni precedenti una primissima risposta da comitati spontanei o organizzazioni improvvisate nelle periferie delle città.

La spinta alla mobilitazione arrivava certamente dalle fabbriche, ma anche dai territori, dove si erano create le condizioni per un grande movimento di massa a seguito di un bisogno acuto e diffuso. Così tanto che nei giorni che precedettero lo sciopero la propaganda fu sostenuta in maniera quasi capillare, garantendo alle manifestazioni un’ampia partecipazione.

Le organizzazioni sindacali promossero una serie di scioperi articolati per le riforme anche perché si erano venute a creare le condizioni per varare vertenze unitarie su queste tematiche. Per Cgil, Cisl e Uil era necessario dare delle risposte ai lavoratori. In particolare, per una modifica radicale delle politiche abitative. L’obiettivo era quello di trasformare la casa in un servizio sociale sottraendola alle logiche di puro profitto per assicurare a tutti i cittadini condizioni abitative adeguate ad un livello civile di vita collettiva.

Lo sciopero nazionale per il diritto alla casa rivendicò la centralità della questione abitativa legandola a un movimento più ampio che chiedeva una maggiore democratizzazione e partecipazione nei rapporti con gli enti pubblici, anche come risposta alla strisciante segregazione sociale (attuata diffusamente dagli IACP) con le offerte differenziate di alloggi e canoni non sempre adeguati ai redditi.

Le confederazioni presentarono al Governo Rumor una vera e propria “piattaforma” sul problema casa, continuando, contemporaneamente, ad incalzare la politica per ottenere riforme sociali (casa, fisco, sanità e trasporti) che servissero ad ammodernare e a rendere più giusta l’Italia. I bisogni immediati di queste famiglie si stavano saldando con la nuova consapevolezza politica espressa dai movimenti giovanili e con il rinato protagonismo operaio.

La denuncia dei problemi di assetto urbanistico o territoriale non erano questioni sollevate dai sindacati, ma erano sempre state prese di posizione che contestavano il deprecabile stato delle cose. Il Governo aveva sempre agito sul filo dell’emergenza, rifinanziando vecchie leggi, usando strumenti inappropriati o stanziando fondi assolutamente insufficienti ai bisogni riconosciuti.

Il 19 novembre l’Italia si fermò. Venti milioni di persone parteciparono allo sciopero.

A Milano quel giorno, insieme alla manifestazione delle confederazioni, ci furono altri due cortei contrapposti, uno promosso dai fascisti e l’altro dai militanti del Movimento Studentesco. Al termine del comizio dei sindacati i dimostranti della sinistra extraparlamentare si stavano unendo ai lavoratori in uscita dal Teatro Lirico. La polizia intervenne per disperderli e subito iniziarono gli scontri fino alla vicina Università Statale. Un giovane agente di Pubblica sicurezza, Antonio Annarumma, resta ucciso. Il risultato delle cariche e dei tafferugli registrò anche 63 feriti e 19 arrestati.

Le circostanze della morte non furono mai chiarite, ma questo episodio diede l’opportunità alle destre di attaccare in modo violento il movimento sindacale e persino le dichiarazioni di alcuni esponenti del governo e i titoli di qualche giornale non alleggerirono il clima politicamente pesante.

La lotta proseguì e certamente i risultati della contrattazione furono importanti. Non ultimo la costituzione da parte dei sindacati di uffici dedicati alle politiche della casa, ai problemi degli inquilini, alle necessità degli alloggi, ecc.

Il 19 novembre 2019, con un’iniziativa di Cgil Cisl Uil, è stato ricordato quell’evento che ha fatto la storia delle lotte sociali nel nostro Paese. Cinquanta anni sono passati. Il movimento sindacale da quella data non si è limitato più alla sola rivendicazione aziendale e categoriale, ma, uscendo dal cancello della fabbrica, mise al centro una vertenza con delle problematiche legate alle condizioni di vita. La casa fu uno dei principali terreni di lotta da parte dei lavoratori, costituendone una tematica alla base di un forte scontro sociale.

In quegli anni, venne scritta una pagina significativa per i diritti dei cittadini. Il riformismo sociale promosso dal sindacato conquistò importanti normative: la legge 865/71 sull’edilizia residenziale pubblica, la legge 392/78 dell’equo canone, la legge 10/77 sul regime dei suoli e la 457/78 sul piano decennale per l’edilizia. Aggiornando la tematica, una riflessione è necessaria in una fase nella quale la mancanza di politiche adeguate nel settore abitativo, il progressivo arretramento dello spazio pubblico e la carenza di fondi destinati al comparto richiedono un rinnovato protagonismo sindacale per rimettere al centro la questione dell’abitare e riprendere la vertenza per città più eque e sostenibili.

Paolo Saija

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