In vigore il Digital Markets Act: uno stop alle Big Tech

5' di lettura
Mi piace!
0%
Sono perplesso
0%
È triste
0%
Mi fa arrabbiare
0%
È fantastico!!!
0%

03.11.2022

Negli ultimi anni il comparto produttivo più dinamico a livello globale è rappresentato dalla digital economy, nel cui ambito operano società multinazionali che posseggono un’elevatissima capacità di capitalizzazione ed i cui proventi non si sono arrestati neanche negli anni di crisi finanziaria o in costanza di pandemia.

Il digitale ha cambiato radicalmente il mercato nell’ultimo ventennio, se pensiamo solo che nel 2000 non esisteva Google Shopping ed Amazon, che vide la luce come libreria online nel 1994 e ottenne il suo primo utile nel 2002. Tale turbinio di cambiamenti, con conseguenze non sempre visibili a primo acchito all’utente finale, hanno reso opportuno un nuovo intervento da parte dell’UE, a oltre vent’anni dalla prima direttiva sull’e-commerce (2000/31/CE), con il varo del DMA, Digital Markets Act (al quale si collega per aspetti importanti il Digital Service Act).

La normativa è entrata in vigore il primo novembre scorso, con l’intenzione di garantire mercati digitali aperti ed equi, per una nuova e più giusta governance del mondo digitale, di cui l’Unione Europea vuole rappresentare un punto di riferimento globale: un’“Europa adatta all’era digitale”, ha commentato la presidente della Commissione Ursula von der Layen.

L’economia digitale si basa su alcuni aspetti che val la pena di tracciare brevemente, anche per comprendere il perché della necessità del DMA. Essa, quindi, si fonda sullo sfruttamento dei dati degli utenti, elaborati da algoritmi, per ricavarne profilazioni precise al fine di veicolare nei loro confronti offerte di servizi o prodotti.  Questi dati vengono poi venduti a produttori o società di marketing.

Mercati così congeniati hanno “un accentuato carattere di network ed un conseguente effetto lock-in”, come ci spiega Gianluca Contaldi (La proposta della Commissione europea di adozione del Digital Markets Act, in «Papers di diritto europeo»), professore ordinario di Diritto dell’Unione europea. Quindi – continua il professore – “più persone usano una determinata piattaforma, più aumenta l’attrattività per coloro che, su di essa, offrono determinati servizi commerciali”.

Inoltre, siamo di fronte a vere e proprie economie di scala, in cui il forte investimento iniziale in innovazione e ricerca riduce in maniera naturale l’ingresso di altri competitori, determinando così un vero oligopolio di mercato da parte di pochi operatori, che non di rado hanno abusato della loro posizione dominante, determinando anche una minore innovazione tecnologica in fatto di modelli di business alternativi, perché scoraggiata dal monopolio stesso.

In un siffatto sistema – dove l’Europa ha anche la pressante esigenza di rilanciare la competitività delle proprie aziende rispetto al dominio di quelle degli Stati Uniti – risultavano inadeguati i rimendi legati alla legislazione antitrust, che sanzionano le posizioni dominanti, ma lo fanno ex post: a fatto accaduto e non di rado in ritardo rispetto alle necessità di un mercato in equilibrio, per il limite della lunghezza delle indagini.

Il Digital Market Act, invece, nei confronti delle Big Tech che agiscono come specificato nel provvedimento, da gateway (punti di accesso) o gatekeeper (controllori dell’accesso), provvede ex ante ponendo obblighi a tali operatori, al fine di anticipare la correzione degli effetti distorsivi che si sono visti prodursi nel mercato e impedire abusi, andando a ridurre gli squilibri tra gli operatori commerciali, che si approcciano (obbligatoriamente!) al commercio digitale attraverso le piattaforme dei “controllori dell’accesso”.

I gatekeeper, fornitori di servizi di piattaforma di base (intermediazione on line, motori di ricerca online, social network ecc.), operanti in almeno tre stati membri dell’Unione, da ora in poi, non potranno più promuovere esclusivamente i propri servizi o favorirli a discapito di quelli altrui. Le società che gestiscono gli store saranno obbligate, tra l’altro, a garantire la parità di trattamento ai prodotti dei concorrenti, consentendo anche l’utilizzo di sistemi di pagamento e di abbonamento diversi da quelli che forniscono sull’app i big del settore.

La qualificazione di gatekeeper, inoltre, dipenderà anche dal fatturato dell’azienda sul territorio UE: 7,5 miliardi di euro o una ricapitalizzazione di mercato pari a 75 miliardi di euro e dal fatto che contino mensilmente almeno 45 milioni di utenti finali e 10.000 utenti commerciali stabili nell’Unione Europea. Devono poi detenere una posizione consolidata sul mercato interno da almeno tre anni consecutivi. Sono previste anche le figure di “gatekeeper emergenti”; ovvero, start up e newco a cui la Commissione europea – valutando i presupposti per l’esistenza di posizione dominante – può imporre degli obblighi anche se non consolidate.

Rimangono fuori dalla qualifica di gatekeeper, salvo casi eccezionali, le PMI (piccole e medie imprese).

Oltre agli obblighi già menzionati, il DMA obbliga i gatekeeper a notificare la loro posizione entro due mesi dall’inizio dell’applicabilità della norma. Alla Commissione resteranno 45 giorni lavorativi per la designazione o meno del fornitore di sevizi come “controllore di accesso”. Quest’ultimo potrà contestare la decisione sempre presso la Commissione europea, che argomenterà poi la sua decisione definitiva.

Vanno segnalati anche il diritto di consentire agli utenti finali di disinstallare applicazioni preinstallate dai gatekeeper o cambiare impostazioni da essi predefinite; sarà garantito agli utenti il diritto di recesso rispetto agli abbonamenti per i servizi erogati dalle piattaforme di base; sarà garantita anche la possibilità che i sistemi di piattaforma di base operino insieme ad applicazioni di terzi ecc.

Ai gatekeeper spetta il compito di garantire che gli obblighi imposti dal DMA siano rispettati, e ciò in armonia con le altre normative UE, quali quella sulla protezione dei dati personali e quelle sulla tutela dei consumatori.

Pesanti le sanzioni: fino al 10% del fatturato annuo mondiale e il 20% in caso di recidiva. Se si verificano tre violazioni in otto anni, la Commissione – unica autorità in fatto di applicazione del regolamento – può imporre rimedi di natura comportamentale o di natura strutturale.

Pur se ci si attende una mole consistente di contenzioso, la direzione per combattere la debole contendibilità dei mercati, la altrettanto debole concorrenza e le pratiche commerciali sleali, sembra segnata con decisione, al fine di favorire una vera e più equa condivisione del valore che si produce e la difesa dei cittadini anche, ma non solo, come consumatori.

Raffaele Tedesco

Articoli Correlati